(…) Mia
silenziosa amica, sola nella solitudine di
quest’ora di morte e piena delle vite del
fuoco, pura erede del giorno
distrutto. (…)
Pablo Neruda
Guardami, film di Davide Ferrario del 1999,
si assesta nella zona liminale che si stende tra Eros
e Thanatos, dipanandone con ricchi significati la
controversa ma fertile e ineludibile coesistenza. Si narra di Nina,
porno-star di successo, la cui vicenda riverbera quella della mai
compianta abbastanza Moana Pozzi. La frase che apre il film,
“Ho un diavolo nascosto nell’armadio ed il lupo mi
aspetta alla porta”, anticipa la dominante tematica della
vita della protagonista, che si muove tra la licenziosità
della sua professione e quella che sarà la dura lotta ad un
male terribile. L’esistenza di Nina e il suo modo
d’essere offrono diversi spunti di riflessione, innanzitutto
in merito ai cambiamenti nella società tardomoderna
dell’intimità e della sessualità,
intesa come una sorta di ponte estremamente significativo e non
trascurabile tra l’identità
dell’individuo, il suo corpo e le normative sociali. Il suo
mestiere riflette una società in cui si afferma
definitivamente la cosiddetta sessualità duttile,
separata in tutto dagli scopi riproduttivi (Giddens, 1995). Questo tipo
di sessualità ha legittimato socialmente la ricerca del
piacere sessuale anche da parte della donna che, sebbene ancora a
fatica, può giovare dell’accettazione sociale
della disinvolta partecipazione femminile alle pratiche erotiche. E
Nina, in effetti, ha scelto questo lavoro per piacere, più
che per esigenze economiche. Al punto che si diverte non poco a parlare
della sua attività con chi incontra, suscitando imbarazzo in
interlocutori spesso intrisi di un menzognero perbenismo moraleggiante
(specie chi le chiede dove ha già visto il suo
volto…) La sua è un’evidente
prospettiva edonistica. Il suo piacere non è legato solo
all’eccitazione clitoridea, ma anche al suo particolare
rapporto conflittuale con gli uomini. Nina, nel suo articolato legame
con il sesso, si oppone in modo pugnace sia a una certa etica
veterofemminista, che paradossalmente può finire per
risultare passiva e sottomessa, sia agli ultimi retaggi, sebbene ancora
consistenti, di una certa velleità fallocratica. |