Guardami, sentimi, toccami, guariscimi | di Luca Bifulco | |
Ma per un uomo
isolato e morente, senza un valido supporto sociale che lo aiuti ad
interpretare la vita e la morte, sarà impossibile dare senso
alla sua condizione e al suo intero esistere. Nina è
cosciente di essere destinata all’isolamento e comincia il
suo ulteriore distacco andando a vivere dalla madre. Lascia
così la casa e la convivente. Non abbandona però
la soddisfacente professione, pur dovendo ridurre i suoi impegni. Anche
affaticata dalla cura cerca di continuare a girare e si lamenta quando
crede di essere esclusa, come quando un regista preferisce utilizzare
una sua immagine proiettata sullo schermo, con cui un attore consuma un
atto erotico, preferendola all’originale. Le viene detto che
è per tematizzare l’importanza del doppio,
dell’alterità. Ma il doppio incarna la distanza
della rappresentazione dalla realtà di cui è
imitazione, una distanza simulacrale, da un certo punto di vista
mortifera se proietta l’essere in un mondo altro, irreale,
fatto di ombre. Non si può non ricordare come nella
mitologia greca coloro che dimorano nell’Ade, regno dei
morti, i senza nome, i senza volto, siano considerati proprio doppi,
ossia fantasmi, ombre (Vernant, 2000). Una coincidenza che pare
suggerire l’isolamento di Nina, così prossima alla
morte o forse per qualcuno già ombra. Nina si
presta ad una debilitante chemioterapia. In ospedale conosce Flavio,
anch’egli malato di tumore, con cui vivrà un
rapporto intensissimo. La malattia rappresenta certamente una
particolare svolta per la protagonista che, nella solitudine sociale
tipica della degenza, scopre la possibilità di relazioni
veritiere ed autentiche anche con gli uomini. Cerca perfino di ricucire
il rapporto con il padre, provando a capirlo e andando a trovarlo a
Mostar, città che appare in tutta la sua distruzione, in
un’analogia filmica tra mali e sofferenze diverse ma
ugualmente drammatiche. |
||
[1] [2] [3] (4) [5] | ||