Guardami, sentimi, toccami, guariscimi | di Luca Bifulco | |
Per
Nina la realtà è sostanzialmente diversa. Ella
sostiene che quando gli uomini la osservano provano non solo desiderio,
ma anche profonda paura, ed è così che lei
può confermare il suo predominio. Il suo piacere nel
praticare sesso ed attirare gli sguardi non è vissuto come
sottomissione, anzi è lei che sente di avere il controllo,
di gestire il rapporto, gli sguardi, il desiderio.
L’esibizionismo sembra quasi frutto di un impeto sovversivo,
di quelli che aspirerebbero ad accelerare ancor di più il
cambiamento sociale nella sfera sessuale. Proprio in virtù
di questa sua indole energica e dominatrice, Nina non accetta di
lavorare alle dipendenze di un manager, tale Baroni, che disprezza in
modo particolare per la sua tracotanza, quasi assurta a metafora della
prepotenza maschile. Il suo distacco dagli uomini, e forse
anche da uno stabile impegno eterosessuale, è visibile anche
in relazione al difficile rapporto con il padre, un medico che ha
abbandonato da tempo la moglie ed ora è missionario a
Mostar, in Bosnia, città sconvolta da una guerra cruenta e
disumana. È ovvio che Nina non accetti e non perdoni al
padre, pur volendogli bene, di aver lasciato la famiglia, noncurante
delle deleterie conseguenze psicologiche per lei e la madre. In un
momento di rabbia afferma che gli uomini sono interessati
esclusivamente alle dimensioni dei loro ideali e del loro membro.
Questo sfogo veemente porta alla memoria, per la sua carica sanguigna,
una suggestiva e colorita espressione coniata da Alfred Adler: la
“protesta virile”, che indica sia la sovrastima
maschile della virilità che il disprezzo della donna
– spesso per insicurezza – dei ruoli che la cultura
codifica come femminili (Adler, 1994). |
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