Nell’ormai celebre Porno Manifesto,
la giovane pornostar, e ora anche pornografa, Ovidie,
utilizzando la pratica (femminista) dell’auto-narrazione
articola una
critica profonda ed estremamente puntuale alla concezione della
sessualità maschile e femminile e della riproduzione
avanzata dal
femminismo storico, accentuando l’ottica censoria con cui
sono stati, e
sono tuttora, concepiti il corpo femminile e la sua rappresentazione
erotica. Passando in rassegna alcuni temi-chiave, dalla contraccezione
alla sessualità femminile, al concetto di sorellanza, al
rapporto
madre-figlia e alla concezione del rapporto tra i femminismi storici e
nuove pratiche femministe, Ovidie sviluppa una critica serrata alle
questioni cardine di un particolare femminismo, quello tradizionalmente
legato alla corrente di pensiero che dagli scritti di Simone de
Beauvoir giunge alle riflessioni di Luce Yrigaray: pur riconoscendo il
grande portato della critica femminista dal dopoguerra agli anni
Ottanta sia a livello sociale e politico sia a livello biografico,
l’autrice propone, contro la chiusura manifestata da quel
femminismo,
una concezione della rappresentazione erotica come possibile strumento
di soggettivazione da parte delle donne e di critica allo status
quo
dei rapporti di potere tra i sessi, allineandosi in tal senso alle
battaglie portate avanti dall’associazionismo internazionale
delle e
dei sex-workers. Per tornare al tema centrale di questo
saggio, la
critica mossa da Ovidie viene fatta propria e sperimentata nei termini
della produzione pornografica da alcuni gruppi e collettivi europei, i
quali hanno virtuosamente riattraversato la presunta barriera tra reale
e virtuale riconnettendo la sfera dell’analisi e
dell’esperienza
collettiva reale con lo spettro del networking virtuale e producendo
esperimenti estremamente interessanti dal punto di vista sia estetico
sia del contenuto8. Alcuni di questi progetti, come Girlswholikeporno,
Ex-dona (entrambe di Barcellona), e Panik
Qulture
(di Parigi), sono ormai celebri, pur restando all’interno di
questo
settore specifico della produzione culturale.
Nel caso di
Girlswholikeporno, il progetto, nato dalla mente e dalla
creatività di
due attiviste di Barcellona, ha finito per coinvolgere numerose persone
più o meno attive nella scena underground e politica della
capitale
catalana, soprattutto attraverso workshop periodici di discussione e di
produzione di materiale video – dapprima riservati a sole
donne e
successivamente aperti a tutti. Ogni produzione è stata
uploadata sul
blog del progetto e fatta oggetto di proiezioni durante festival del
cinema indipendente (porno e non solo): si tratta di produzioni ad
accesso libero basate sulla decodificazione – collettiva
– del
linguaggio pornografico e di alcuni suoi elementi topici
(l’eterossessualità dominante per quanto riguarda
il porno mainstream,
la penetrazione, lo strip-tease, la nudità,
l’inquadratura dei
genitali, alcune scene tipo, l’abbigliamento e i
clichè della
recitazione). L’attivazione di un blog, piuttosto che di un
sito, rende
possibile l’interazione tra i naviganti e le owners mediante
la forma
del commento. L’accesso libero ai video, poi, e la
pubblicazione delle
date dei workshop e del riassunto di ciò che avviene
all’interno di
quelle esperienze permette la veicolazione ad ampio raggio di contenuti
e forme di questa sperimentazione post-pornografica.
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