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Nello
specifico degli ultimi due esempi, si tratta di esperimenti
estremamente interessanti, e dal sapore fortemente – per
quanto spesso non esplicitamene - politico, in cui la condivisione reale-virtuale di esperienze, desideri e immaginari si fonde nella creazione di un prodotto virtuale/cinematografico tradizionale (commercializzato o non commercializzabile e free-access) che rappresenta non solo il desiderio di espressione pubblica di desideri e fantasie private, ma la vera e
propria pubblicizzazione e dunque politicizzazione di quegli stessi desideri e fantasie.
Mentre il realcore rappresenta una delle modalità attraverso cui singoli, coppie sposate,
coppie di sconosciuti e sconosciute, e quant’altro rendono pubbliche sul web le proprie esperienze erotiche – mediante un accesso che è per lo più non
a pagamento, per quanto tale materiale sia fruibile spesso solo previa iscrizione a forum e mailing lists di amateurs - la
sperimentazione rappresentata dal secondo tipo ha a che vedere con la rappresentazione, o l’auto-rappresentazione di forme del desiderio nascoste, tabù, marginalizzate o sotto-rappresentate ai fini della loro emersione nel pubblico e della loro socializzazione1.
In questo senso l’Eros espresso via virtuale non ha come contropartita un Tanathos del reale, tutt’altro. Il caso di One night stand di Emilie Jouvet (2006) è emblematico: definito come il primo mediometraggio pornografico lesbico la cui regista, fotografa della
scena lesbica parigina, ha realizzato mediante la pratica dell’“ascolto” delle fantasie delle sue
protagoniste (non professioniste), rappresenta la connessione virtuosa tra gli “spazi reali” della socialità lesbica e trans (FtoM) e gli spazi virtuali della proiezione cinematografica e della rete. Le protagoniste degli episodi di One Night Stand sono donne (biologiche) e uomini (non biologici) che hanno raccolto l’invito della regista, pubblicato in rete in numerosi siti, chat e forum dedicati al mondo lesbico di Parigi, a costruire insieme un porno mediante la traduzione in
linguaggio cinematografico delle molteplici forme del desiderio
lesbico, tradotte dalla Jouvet, e interpretate dalle stesse persone che
avevano contribuito alla sceneggiatura del film. L’obiettivo
politico
di quella che è un’operazione commerciale (il film
si vende attraverso
il sito della regista, come un consueto prodotto pornografico)
è stato
quello di realizzare un prodotto auto-rappresentativo (politico) ma
allo stesso tempo fruibile nei termini del prodotto commerciale porno,
un prodotto che, se nella sua interezza è accessibile solo
mediante il
tradizionale acquisto (per quanto esclusivamente via web), è
parzialmente liberamente accessibile on-line nella versione ridotta ad
un solo episodio (Red fetish bathroom).
Un altro esempio di rapporto virtuoso tra spazi del reale e
dimensione virtuale (inteso come circolo che include la cinematografia
indipendente) è rappresentato dai lavori del pornografo
canadese Bruce
LaBruce, i quali, e nello specifico la sua ultima produzione, Otto,
vedono al lavoro la sinergia costruita dallo stesso LaBruce tra
relazioni innescate via virtuale (mediante i suoi numerosi siti
internet e blogs), network di amicizie e collaborazioni americane,
canadesi e europee, e luoghi e spazi della socialità legata
al fucking different (o più generalmente
queer,
in cui le pratiche e le identità sessuali al di
là della tradizionale
sessualità eteronormata si incontrano e si scambiano
mettendo in
pratica un crossover non solo di corpi ma
soprattutto di immaginari critici e creativi). Otto
è un film interamente girato a Berlino, i cui protagonisti e
comparse
(non professioniste/i) sono stati coinvolti attraverso la rete di
relazioni creatasi sia all’interno del mondo della
pornografia
indipendente sia mediante la rete di attivisti/e e artisti/e che
animano la scena queer berlinese. |