TRUMAN
SHOW, FIRMATO DICK.2 di Adolfo Fattori |
Il giovane è il frutto di una gravidanza indesiderata, ed è stato selezionato dal creatore del programma fra altri bambini per una serie di circostanze casuali: è nato proprio quando lo show doveva partire. Circondato da comparse ed attori professionisti – e da cinquemila telecamere nascoste – è l’unica persona “vera” (in inglese true man significa uomo vero, ndr) fra tutti gli abitanti della cittadina in cui vive, e conduce la sua vita di protagonista involontario dello spettacolo più seguito del mondo. La sua identità corrisponde esattamente alla sua vita, non c’è niente di più di quello che gli accade – frutto di una sceneggiatura perfetta e puntuale. Queste informazioni vengono rivelate allo spettatore un poco alla volta, attraverso i cambi di scena che Weir fa sugli spettatori incollati ai televisori e sui produttori e tecnici del programma. Scopriamo così che Truman è solo, senza veri parenti o amici. Cruciale diventa la risposta, che Christof, il “creatore” di Truman, da ad un intervistatore che gli chiede come è possibile che il giovane non si sia mai accorto di nulla: “E perché dovrebbe? Noi accettiamo la realtà del mondo così come ci si presenta (corsivo nostro, ndr).” Una traduzione in senso letterale del concetto sociologico di “realtà come costruzione sociale” (Berger, Luckmann, 1969), realizzata però attraverso la dimensione produttiva dell’industria televisiva – e la complicità degli spettatori – ai danni (o perlomeno all’insaputa) del protagonista di questa stessa realtà. Anche in questo caso viene proposto un esempio di come la propria realtà possa essere il frutto di una mera simulazione, con Truman che crede di vivere, di decidere, di agire, mentre tutti i suoi atti sono il frutto, diretto o indiretto, di decisioni altrui. Abitante di un mondo simulato, Truman Burbank vive fuori del tempo reale, in una cittadina ferma alla data della sua nascita, in cui non c'è storia, una sorta di paese dei balocchi sospeso nel tempo e nello spazio, in cui gli unici eventi degni di nota sono un ascensore che precipita, un guasto alla centrale nucleare – tutti creati per lui, per turare le falle che si aprono nella sceneggiatura quando lui comincia a capire, e ad agire fuori degli schemi che aveva fino ad allora seguito. Come Jason Taverner, Truman è esattamente quello che ricorda di essere, tutta la sua vita è evidente e chiara. A differenza di Jason, lo è anche per i milioni di spettatori che seguono le vicende dello show, con i suoi momenti di farsa, di commedia, di dramma. In questa sorta di messinscena metafisica – e mediatica – il ragazzo si muove in un mondo che – reale solo per lui – si istituisce come luogo e tempo mitico per gli spettatori: una sorta di età dell’oro, rassicurante ed eterna. La sua identità, seppure frutto di un artificio, è vera – così come si è sviluppata in una realtà che egli considera tale, nel senso che dal suo punto di vista è il frutto di una catena di eventi concreti, reali, davvero esperiti durante quella che in effetti è la sua vera biografia. Pure, sono bastati due eventi, due perdite – quella del presunto padre, e quella della ragazza – a incrinare il progetto prometeico di Christof: scavando dal profondo, gli effetti di questi due avvenimenti, uniti alle piccole incrinature che si verificano nel suo mondo – finiscono per distruggere la stabilità del programma che era stato costruito attorno a Truman. Alla fine, Truman si prende la sua libertà nel momento in cui scopre che – in effetti – la sua identità è frutto di una colossale bugia perpetrata a sua sola insaputa. “La vita è effimera”, dichiara per telefono il giovane ad una cliente, come è effimera la vita sullo schermo o l’attenzione dei telespettatori, che – dopo aver trepidato e pianto per lui, e dopo aver gioito quando il loro eroe conquista davvero la libertà, uscendo dallo schermo – cambiano serenamente canale e si dedicano ad un altro programma, come spegnendo un interruttore per accenderne un altro. Truman sparisce dietro una porticina sul fondo del set, ma sparisce per certi versi anche a se stesso: la sua identità era determinata da Seahaven, il mondo esterno è nulla per lui – solo dei nomi su una carta geografica. E’ come svanire da un universo, per entrare in un altro. E diventare un altro. | ||
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