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Il giovane è il frutto di
una
gravidanza indesiderata, ed è stato selezionato dal creatore
del
programma fra altri bambini per una serie di circostanze casuali:
è
nato proprio quando lo show doveva partire.
Circondato da
comparse ed attori professionisti – e da cinquemila
telecamere nascoste
– è l’unica persona
“vera” (in inglese true man significa uomo vero, ndr)
fra tutti gli abitanti della cittadina in cui vive, e conduce la sua
vita di protagonista involontario dello spettacolo più
seguito del
mondo. La sua identità corrisponde esattamente alla sua
vita, non c’è
niente di più di quello che gli accade – frutto di
una sceneggiatura
perfetta e puntuale. Queste informazioni vengono rivelate allo
spettatore un poco alla volta, attraverso i cambi di scena che Weir fa
sugli spettatori incollati ai televisori e sui produttori e tecnici del
programma. Scopriamo così che Truman è solo,
senza veri parenti o
amici. Cruciale diventa la risposta, che Christof, il
“creatore” di
Truman, da ad un intervistatore che gli chiede come è
possibile che il
giovane non si sia mai accorto di nulla: “E perché
dovrebbe? Noi
accettiamo la realtà del mondo così
come ci si presenta (corsivo nostro, ndr).”
Una traduzione in senso letterale del concetto sociologico di
“realtà
come costruzione sociale” (Berger, Luckmann, 1969),
realizzata però
attraverso la dimensione produttiva dell’industria televisiva
– e la
complicità degli spettatori – ai danni (o
perlomeno all’insaputa) del
protagonista di questa stessa realtà. Anche in questo caso
viene
proposto un esempio di come la propria realtà possa essere
il frutto di
una mera simulazione, con Truman che crede di
vivere, di
decidere, di agire, mentre tutti i suoi atti sono il frutto, diretto o
indiretto, di decisioni altrui.
Abitante di un mondo simulato, Truman
Burbank vive fuori del tempo reale, in una cittadina ferma alla data
della sua nascita, in cui non c'è storia, una sorta di paese
dei
balocchi sospeso nel tempo e nello spazio, in cui gli unici eventi
degni di nota sono un ascensore che precipita, un guasto alla centrale
nucleare – tutti creati per lui, per turare le falle che si
aprono
nella sceneggiatura quando lui comincia a capire, e ad agire fuori
degli schemi che aveva fino ad allora seguito. Come Jason Taverner,
Truman è esattamente quello che ricorda
di essere, tutta la sua
vita è evidente e chiara. A differenza di Jason, lo
è anche per i
milioni di spettatori che seguono le vicende dello show, con i suoi
momenti di farsa, di commedia, di dramma. In questa sorta di
messinscena metafisica – e mediatica – il ragazzo
si muove in un mondo
che – reale solo per lui – si istituisce come luogo
e tempo mitico per
gli spettatori: una sorta di età dell’oro,
rassicurante ed eterna. La
sua identità, seppure frutto di un artificio, è
vera – così come si è
sviluppata in una realtà che egli considera tale, nel senso
che dal suo
punto di vista è il frutto di una catena di eventi concreti,
reali,
davvero esperiti durante quella che in effetti è la sua vera
biografia. Pure, sono bastati due eventi, due perdite –
quella del
presunto padre, e quella della ragazza – a incrinare il
progetto
prometeico di Christof: scavando dal profondo, gli effetti di questi
due avvenimenti, uniti alle piccole incrinature che si verificano nel
suo mondo – finiscono per distruggere la stabilità
del programma
che era stato costruito attorno a Truman. Alla fine, Truman si prende
la sua libertà nel momento in cui scopre che – in
effetti – la sua
identità è frutto di una colossale bugia
perpetrata a sua sola
insaputa. “La vita è
effimera”, dichiara
per telefono il giovane ad una
cliente, come è effimera la vita sullo schermo o
l’attenzione dei
telespettatori, che – dopo aver trepidato e pianto per lui, e
dopo aver
gioito quando il loro eroe conquista davvero la libertà,
uscendo dallo
schermo – cambiano serenamente canale e si dedicano ad un
altro
programma, come spegnendo un interruttore per accenderne un altro.
Truman sparisce dietro una porticina sul fondo del set, ma sparisce per
certi versi anche a se stesso: la sua identità era
determinata da
Seahaven, il mondo esterno è nulla per lui – solo
dei nomi su una carta
geografica. E’ come svanire da un universo, per entrare in un
altro. E
diventare un altro. |