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Truman
Burbank è il classico bravo ragazzo americano, che lavora
per una
agenzia di assicurazioni, è sposato con una ragazza che gli
vuole bene,
ha un amico con cui si confida, è circondato da persone che
lo stimano
e lo trattano con grande affetto. Vive a Seahaven, una cittadina da
sogno, tranquilla e solare, e conduce una vita che definire regolare
è
poco: ogni mattina esce di casa alla stessa ora, saluta sempre con la
stessa battuta i suoi vicini di colore, passa dall’edicola a
prendere
riviste e giornali, e va al lavoro. È un ragazzone vivace ed
ingenuo,
allegro e disponibile, ma ha un unico grave problema: una terribile
fobia per il mare, che gli è nata quando, a otto anni,
durante una gita
in barca col padre, si è improvvisamente scatenata una
tempesta,
durante la quale il padre è stato scagliato fuori
dall’imbarcazione ed
è annegato. Inoltre, nasconde un segreto: con la scusa di
comprarla per
la moglie, acquista ogni giorno una rivista di moda, da cui di nascosto
in ufficio strappa pagine con particolari di lineamenti femminili. Si
potrebbe pensare a qualche mania inconfessabile e morbosa. Niente di
tutto questo: Truman cerca di ricostruire il volto dell’unica
ragazza
di cui si era davvero innamorato – che gli è stata
subito strappata
via, per poi sparire.
Da questo episodio proviene l’unico
sogno che ha:
partire per andare a cercarla. Ma questo gli è impedito, un
po’ dalla
sua paura dell’acqua, un po’ da circostanze sempre
diverse. Truman è,
insomma, una persona perfettamente integrata. Solo, a un certo punto,
comincia ad avere qualche perplessità. Una mattina quasi gli
precipita
addosso un’enorme faro, che reca un’etichetta con
il nome di una
stella. L’autoradio comincia a mandare strani messaggi.
Truman comincia
a sentirsi osservato. Fin quando, per strada, non gli si avvicina il
padre, invecchiato e malridotto, che subito viene condotto via con la
violenza da due losche persone. Truman prova a confidarsi, a indagare.
Cerca di scappare da Seahaven, ma ogni volta gli viene impedito.
Scopre, man mano che procede nei suoi tentativi, di essere al centro di
un colossale inganno – e decide di fuggire. Alla fine ci
riesce,
superando la sua paura e fuggendo in barca a vela (forse percependo che
anche la tempesta in cui è “morto” il
padre è stata una finzione), fino
ad urtare con la barca contro lo sfondo del suo
“mondo”, una quinta che
simula l’orizzonte, e lascia la scena con la stessa battuta
che ogni
giorno rivolgeva alla coppia di vicini “E se non dovessi
rivedervi,
buon pomeriggio, buona sera, e buona notte!” Noi spettatori
del film da
subito sappiamo che in realtà Truman Burbank è il
protagonista
involontario e inconsapevole di una pluridecennale soap opera,
cominciata alla sua nascita e proseguita fino ai suoi
trent’anni
ventiquattro ore su ventiquattro. Siamo, ovviamente, nel futuro, in un
futuro in cui la tecnologia ha permesso la costruzione di
un’enorme
cupola che simula il cielo, all’interno del quale
è costruita la città
di Seahaven, luogo incantato, luminoso, dall’atmosfera dei
tardi anni
Cinquanta, proprio come li descrive Fredric Jameson in Postmodernismo
(Jameson, 2007, pag. 282 e segg.). |