TRUMAN
SHOW, FIRMATO DICK.2 di Adolfo Fattori |
Truman Burbank è il classico bravo ragazzo americano, che lavora per una agenzia di assicurazioni, è sposato con una ragazza che gli vuole bene, ha un amico con cui si confida, è circondato da persone che lo stimano e lo trattano con grande affetto. Vive a Seahaven, una cittadina da sogno, tranquilla e solare, e conduce una vita che definire regolare è poco: ogni mattina esce di casa alla stessa ora, saluta sempre con la stessa battuta i suoi vicini di colore, passa dall’edicola a prendere riviste e giornali, e va al lavoro. È un ragazzone vivace ed ingenuo, allegro e disponibile, ma ha un unico grave problema: una terribile fobia per il mare, che gli è nata quando, a otto anni, durante una gita in barca col padre, si è improvvisamente scatenata una tempesta, durante la quale il padre è stato scagliato fuori dall’imbarcazione ed è annegato. Inoltre, nasconde un segreto: con la scusa di comprarla per la moglie, acquista ogni giorno una rivista di moda, da cui di nascosto in ufficio strappa pagine con particolari di lineamenti femminili. Si potrebbe pensare a qualche mania inconfessabile e morbosa. Niente di tutto questo: Truman cerca di ricostruire il volto dell’unica ragazza di cui si era davvero innamorato – che gli è stata subito strappata via, per poi sparire. Da questo episodio proviene l’unico sogno che ha: partire per andare a cercarla. Ma questo gli è impedito, un po’ dalla sua paura dell’acqua, un po’ da circostanze sempre diverse. Truman è, insomma, una persona perfettamente integrata. Solo, a un certo punto, comincia ad avere qualche perplessità. Una mattina quasi gli precipita addosso un’enorme faro, che reca un’etichetta con il nome di una stella. L’autoradio comincia a mandare strani messaggi. Truman comincia a sentirsi osservato. Fin quando, per strada, non gli si avvicina il padre, invecchiato e malridotto, che subito viene condotto via con la violenza da due losche persone. Truman prova a confidarsi, a indagare. Cerca di scappare da Seahaven, ma ogni volta gli viene impedito. Scopre, man mano che procede nei suoi tentativi, di essere al centro di un colossale inganno – e decide di fuggire. Alla fine ci riesce, superando la sua paura e fuggendo in barca a vela (forse percependo che anche la tempesta in cui è “morto” il padre è stata una finzione), fino ad urtare con la barca contro lo sfondo del suo “mondo”, una quinta che simula l’orizzonte, e lascia la scena con la stessa battuta che ogni giorno rivolgeva alla coppia di vicini “E se non dovessi rivedervi, buon pomeriggio, buona sera, e buona notte!” Noi spettatori del film da subito sappiamo che in realtà Truman Burbank è il protagonista involontario e inconsapevole di una pluridecennale soap opera, cominciata alla sua nascita e proseguita fino ai suoi trent’anni ventiquattro ore su ventiquattro. Siamo, ovviamente, nel futuro, in un futuro in cui la tecnologia ha permesso la costruzione di un’enorme cupola che simula il cielo, all’interno del quale è costruita la città di Seahaven, luogo incantato, luminoso, dall’atmosfera dei tardi anni Cinquanta, proprio come li descrive Fredric Jameson in Postmodernismo (Jameson, 2007, pag. 282 e segg.). | ||
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