SE UNA NOTTE DELL’INVERNO 1968 UN VIAGGIATORE
di Gennaro Fucile |
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We Want The World And We Want It Now La grande rivoluzione culturale del capitale occidentale, invece, si è dispiegata con una progressione impressionante, accompagnando, preannunciando e completando la terza rivoluzione industriale. Non solo, ha anche dimostrato nei fatti e non con gli slogan che cosa vuol dire rivoluzione permanente. Lo ha dimostrato nel profondo della vita quotidiana, materiale, trasversalmente, non escludendo nessuno, occupati, semi occupati, occupati precari, disoccupati cronici, l’intero esercito della forza lavoro, che pure conserva carattere antagonista nella (pseudo) dialettica Capitale/Lavoro, ma che è nella sua totalità immerso in un più vasto fronte sociale, il fenomeno dagli inediti caratteri, tipico della società post-industriale, l’universo del consumatori. I presupposti teorici del Sessantotto, maturati lungo tutto il decennio, sono interamente confluiti in questo orizzonte, che giunge inatteso al viaggiatore nel tempo: la critica dei sistemi autoritari e dell’autorità familiare (pubblico/privato), la ricerca del benessere incondizionato anche oltre le porte della consueta percezione, la liberazione del segno a partire dalla moda, la capillare, onnipresente doxa, trasversale ai talk show, alla tivù verità, ai dibattiti generici, ai salottini, e a tutto quanto concerne la parola/flusso, l’abolizione delle differenze tra le merci estetiche, tra l’arte di massa e quella colta, l’abolizione delle barriere temporali, preludio di transizioni micro e macro, dallo zapping all’istantaneità dei passaggi dei capitali finanziari, la frantumazione delle frontiere tra tempo libero e tempo di lavoro. Ci furono opere d’arte che incarnarono, registrarono, subirono questo movimento di liberazione dai punti cardinali, emancipando il sopra e il sotto, l’alto e il basso. Anche il futuro si ribaltò nel genere che aveva il compito di raccontarlo. Oltre a 2001, Odissea nello spazio, anche la letteratura avvertì scosse sismiche violente. Un titolo per tutti, il joyciano Tutti a Zanzibar (Stand on Zanzibar) di John Brunner4. Ne è scaturita una nuova società dove al potere è l’immaginario dei consumatori. In cambio della servitù volontaria. Vero, strutturale compromesso storico di un sistema fondato sui consumatori, dove la disoccupazione non preoccupa, l’esistenza prolungata, questa sì a tempo indeterminato, dell’esercito industriale di riserva non ha generato alcun cataclisma sociale. Il rischio spettrale che si aggira per l’occidente è il venir meno dei consumatori. Nel loro insieme i consumatori occidentali sono l’equivalente attuale di quella che nella società industriale si definiva aristocrazia operaia, una fetta d’umanità privilegiata rispetto a buona parte della popolazione totale del pianeta, che vede da un lato degli autentici miserabili, vite di scarto e anche meno, dall’altro dei benestanti, comunque. Così si presentano agli occhi del viaggiatore proveniente dal ’68 le terre occidentali, dove si consumano beni/servizi e se ne produce il relativo know how. La manodopera (de)qualificata a vari bassi livelli e le materie prime sono invece fornite dalle colonie, dove il sistema di potere è militare, mentre è mediatico in Occidente. Ecco i punti cardinali della terza rivoluzione industriale, che qui semina seppur tra mille contrasti la domanda dell’immediato futuro, una domanda molto più flessibile a cui offrire una nuova immensa raccolta di merci, di spettacoli, di informazioni, oggetti, cibi, servizi, svaghi, intrattenimenti, sesso, droghe, dati, software tascabili, tutto assemblato insieme in serie permutabili. Le rivoluzioni non hanno mai fatto altro che ruotare su loro stesse negandosi alla velocità di rotazione. La rivoluzione del ’68 non sfugge alla regola. Traendo più profitto dal consumo generalizzato che dalla produzione, il sistema mercantile accelera il passaggio dall’autoritarismo alla seduzione del mercato…5Dall’ultimo stadio della società moderna all’attuale post è dunque maturata e si è poi compiuta la grande rivoluzione culturale d’Occidente, che muove con le avanguardie storiche (ancora fortemente elitarie, ma quanto deve il sessantotto al surrealisti e, strano ma vero, ai futuristi italiani!) dell’inizio Novecento e approda con irruenza e diffusione di massa nei mitologici anni Sessanta, il decennio brevissimo del secolo breve e che tocca l’apice simbolico nell’anno istantaneo del decennio, il 1968. Così con curiosa simmetria, chi proclamò la Rivoluzione culturale (la Cina delle guardie rosse) la compie nei fatti oggi – con tutte le ambiguità che sempre comporta una rivoluzione – mentre in Occidente se ne realizzò una epocale, concretamente, a partire da allora. Venne cioè a dispiegarsi una progressiva affermazione delle avanguardie di massa, la base materiale e civile su cui si fonda l’odierna società estetizzata. Estetizzazione del mondo che trova simbolicamente forza nello slogan l’immaginazione al potere, il claim del Sessantotto che instaura l’equivalenza creativo= nuovo=bello. Attraverso la liberazione delle forme, delle linee, dei colori e delle concezioni estetiche, attraverso il mescolarsi di tutte le culture e di tutti gli stili, la nostra società ha prodotto una estetizzazione generale, una promozione di tutte le forme di cultura, senza dimenticare le forme di anticultura, un’assunzione di tutti i modelli di rappresentazione e di anti-rappresentazione……Tutto è politico. Tutto è estetico. Simultaneamente. Tutto ha preso un senso politico, soprattutto dopo il 1968: la vita quotidiana, ma anche la follia, il linguaggio, i media, anche il desiderio diventano politici nella misura in cui entrano nella sfera della liberazione e dei processi collettivi di massa (…). Nello stesso tempo tutto si estetizza: la politica si estetizza nello spettacolo6.Proprio ciò che si proponeva quella sorta di teoria della prassi here and now di Jerry Rubin che in Fallo! (Do It!, esortazione, poi ripresa dalla Nike Corporation), scriveva “bisogna fare della rivoluzione un mito spettacolare…7”. Rubin, lui, il leader del Movement e fondatore dello Youth lnternational Party. Intanto le merci diventano tendenzialmente prodotti estetici con un autore, la marca, la firma, la griffe, l’insegna, il logo. Il pubblico che deve fruirne deve essere necessariamente giovane, la gioventù non è un dato anagrafico ma uno stato mentale e una condizione del gusto. Ecco forse che cosa rimpiangeva Mary Hopkin, l’era della creazione, l’alba della nuova società, quella dei giovani come categoria. |
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4.
John Brunner,
Tutti a Zanzibar, Nord, Milano, 1988. |
5.
Raoul Vaneigem,
Trattato del sapere vivere, Castelvecchi, Roma, 2006. |
6.
Jean Baudrillard,
La trasparenza del male, SugarCo, Milano, 1991. |
7.
Jerry Rubin,
Fallo!, Milano Libri, Milano, 1971. |
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