DOCUMENTARI DEL NON-VERO LA PROPAGANDA DURANTE LA GUERRA FREDDA
di Giorgio Signori |
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È su questo aspetto che gioca maggiormente la
retorica della
propaganda: l’assenza di connotati del linguaggio
interpretabili dallo
spettatore come appartenenti alla realtà finzionale
narrativo-romanzesca permette di conquistare la fiducia dello
spettatore, che non riconoscendo meccanismi narrativi di
finzionalizzazione, può tendere a lasciarsi vincolare da un
rapporto di
fiducia con l’autore. È uno spettatore che si
riconosce in ciò che
vede, come in uno specchio. Lo specchio è infatti secondo
Metz il luogo
dell’identificazione primaria10. È importante tener
presente questo
elemento, perché, come si vedrà più
avanti, l’idea di specchio si
rivelerà fondamentale nel definire il rapporto che si crea
tra i
prodotti audiovisivi di propaganda e la società. Metz elegge
a corpus
privilegiato della sua ricerca i film narrativi in quanto sostiene che
l’incontro fra cinema e narratività ha
condizionato in maniera
determinante l’evoluzione semiologica del film e ridotto il
documentario e gli altri insiemi non narrativi ad aree periferiche. Ma
di fatto propone una visione che omologa tutti i generi del cinema in
una forma di non realtà alla cui base sembra risiedere una
comune
natura di messa in narrazione della storia. E anche le storie
“vere”,
quelle raccontate ad esempio dai cinegiornali, subiscono
l’influenza di
questa forma di irrealtà dettata dalla messa in film. Nel
caso dei
documentari della Guerra Fredda, è impossibile non
riconoscere, seppur
a un livello meno palese rispetto a prodotti più
narrativizzati, la
linea del racconto, che a livello semiotico appare analoga ai
più
comuni prodotti del cinema di fiction: è frutto di una
sceneggiatura e
di messa in scena con attori e scenografie. È la messa in
forma che ne
cambia tuttavia la percezione, attraverso gli artifici del linguaggio
cinematografico. Secondo la distinzione effettuata da Metz, esistono due tipi di codici cinematografici, generali e particolari. Con i primi si indicano quelle istanze sistematiche proprie del linguaggio narrativo, comuni a tutti i prodotti audiovisivi. I codici cinematografici secondari appartengono invece solo a certe classi di film. Questi ultimi contribuiscono a costituire i film di genere, dai quali ereditano un sistema di convenzioni, come nel caso dei western o dei musical, ma si riferiscono anche a gruppi di film identificabili per stile, come quelli componenti l’opera di un singolo cineasta o di una stessa scuola, sotto forma di stilemi ricorrenti che permettono la riconoscibilità dell’autore o della corrente. Nei filmati della Guerra Fredda la presenza di stilemi è più che abbondante, e sufficiente a identificarli come una classe indipendente di film che può essere analizzata come tale, e dotata di forme e figure ricorrenti, stili, regolarità. |
Particolarmente rilevante infine, a concludere il discorso sull’atteggiamento spettatoriale, è inoltre la posizione di Bill Nichols, che distingue un “modo osservativo” e un “modo partecipativo” del documentario, in base alla percezione dello spettatore. Nel caso del modo partecipativo/interattivo, si richiede allo spettatore di entrare direttamente a contatto diretto con la realtà che gli si propone di osservare. È un modo che attribuisce molta importanza alle scelte che sono richieste al pubblico, affinché valuti il grado di rappresentazione della verità; il modo partecipativo sottolinea la complessità della conoscenza del mondo enfatizzando i propri aspetti soggettivi e le dimensioni emotive. È il caso, secondo Nichols, dei documentari russi a cavallo tra gli anni Venti e Trenta, in cui il materiale filmato viene selezionato da parte del regista che attraverso le sue scelte stabilisce una determinata prospettiva riguardo l’argomento del documentario e, di conseguenza, un punto di vista privilegiato. Sebbene il documentario ricerchi un alto grado di oggettività, ogni selezione di questo genere sottende ad una precisa scelta ideologica ed estetica compiuta dal regista. Il modo osservativo, pur nella consapevolezza dell’impossibilita di una trasparenza assoluta, cerca di mostrare la realtà per come essa appare, e viene ripresa dalla cinepresa, solo osservandola senza alcun tipo di intervento da parte del documentarista. Bill Nichols fa coincidere il modo osservativo con il cosiddetto Cinema Verité e il suo omologo anglosassone Direct Cinema. La fedeltà di questi documentari nasce dalla nozione che esista una relazione diretta tra l’immagine, e ciò che essa identifica, ovvero del legame indessicale, facendo un passo indietro e tornando allo statuto ontologico della fotografia di cui parla Bazin, che esiste tra immagini e realtà. |
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10.
L’approccio della semiologia al consumo del mezzo
audiovisivo
vede in Christian Metz un autore di grandissimo rilievo. Si veda in particolare C. Metz, Semiologia del cinema, Milano, Garzanti, 1972. |
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