DOCUMENTARI DEL NON-VERO LA PROPAGANDA DURANTE LA GUERRA FREDDA
di Giorgio Signori |
||
Nel caso dei filmati della Guerra Fredda, è interessante porsi la domanda su quale possa essere l’atteggiamento spettatoriale di chi li guarda, ma soprattutto, per capire i linguaggi della propaganda, quale poteva essere tale atteggiamento cinquanta anni fa. Oggi infatti, con la forza di una cultura scientifica ben più diffusa e di più facile portata, si tende a trovare risibili le tesi e le posizioni mostrate nel film, ad immaginare grottesche determinate affermazioni (soprattutto, sulla minimizzazione dei rischi atomici). La chiave di lettura per immedesimarsi nello spettatore dei primi anni Cinquanta è la paura: occorre calarsi nello stato psicologico innestato da una situazione instabile e ansiogena come la Guerra Fredda. Con tutta probabilità l’atteggiamento spettatoriale doveva essere del tutto analogo a quanto oggi si può provare nel rapportarsi a prodotti audiovisivi, più sottili e liminali ma inequivocabilmente eredi della medesima propaganda, che affrontano le paure del terrorismo internazionale. La paura innescata da immagini spettacolari e terribili della bomba atomica ha il medesimo DNA mediatico delle esplosioni dell’11 Settembre: l’incertezza, la novità, il timore, l’incredulità, sono gli ingredienti necessari a recepire e capire l’atteggiamento di chi era spettatore nel pieno della Guerra Fredda. Analogamente, si ripropone oggi la contrapposizione tra due visioni ideologiche totalizzanti, e l’enfatizzazione di un nemico che, reale e non costruito, rappresenta una minaccia presentata come subdola e incontrollabile. A livello linguistico si indaga sul rapporto fra cinema e realtà. Questo rapporto obbliga a addentrarsi nel delicato dibattito filosofico fra Reale/Immaginario, Realtà/Rappresentazione, Vero/Falso. Queste problematiche tendono erroneamente a interrogarsi sulla posizione autoriale e su quanto sia possibile, con la macchina del cinema, far coincidere il reale con la visione del reale che è il prodotto risultante dall’operazione di costruzione. È un dato di fatto che queste due realtà non sono sovrapponibili, ma ci si può domandare come l’autore ci restituisca la propria, personalissima visione di reale. È proprio nel documentario che si riscontra la tendenza più accentuata verso la coincidenza fra Realtà e sua Rappresentazione, almeno nelle intenzioni di chi fa il documentario e che qui, parafrasando l’istanza narrativa di Metz, può essere definita istanza rappresentativa. Tale istanza non è assoluta, e giammai scissa dal proprio creatore. Roger Odin proseguendo sulla strada della percezione da parte dello spettatore, individua due modalità di lettura: una documentarizzante, una finzionalizzante. Nella prima il lettore non deve far coincidere l’enunciatore del film con il suo autore, bensì con l’entità costruita presupponendo la realtà di questo enunciatore. Si tratta di una lettura critica, in grado di esplicare la prospettiva sull’enunciato, che opera in sinergia con un’insita attività epistemica di indicalità, e che può entrare in gioco rispetto a qualsiasi genere di film. Il fondamento della lettura documentarizzante, opposta a quella della fiction, non sarebbe allora la realtà del rappresentato, ma quella presupposta dell’enunciatore. Gli enunciatori reali del film possono essere molteplici: il regista, l’operatore, lo sceneggiatore. Tali elementi sono i medesimi tanto nel cinema documentario quanto in quello finzionale. Il tipo di lettura documentarizzante varierà al variare del tipo di enunciatore reale scelto. L’atto di lettura documentarizzante è quindi un’operazione che mette in moto un sistema interattivo a tre attanti: un film, un’istituzione, un lettore. Sinteticamente, l’istituzione regola la costituzione dell’immagine del documentarista operata dallo spettatore, che nel caso dei documentari, si vede negare l’accesso alle intenzioni illocutorie del locutore, in modi da confrontare con ciò che accade nel mondo dichiaratamente immaginario del film di finzione8. Ma come funziona il procedimento di identificazione e atteggiamento spettatoriale nei riguardi del documentario? Il personaggio tende a diventare un oggetto dello spazio rappresentato, entrando nel film proprio nella misura del rapporto con esso. Ciò provoca generalmente reazioni di spiazzamento nello spettatore, il quale si trova nella condizione di dover trovare altre vie d’identificazione. Può venirci a questo proposito in soccorso la distinzione di Metz tra identificazione cinematografica primaria e secondaria9. |
||
[1] [2] [3] (4) [5] [6] | ||
|
8.
Sul rapporto tra realtà
e finzione nel cinema Roger Odin, della scuola francese, è un autore chiave. Cfr. R. Odin, L'entrée du spectateur dans la fiction, in J. Aumont, J.L. Leutrat, Théorie du film, Paris, 1980. |
9.
A tal proposito si veda
C. Metz, Cinema e psicanalisi, il significante immaginario, Venezia, Tascabili Marsilio, 1980. |
|
|
|||
|