Dal positivismo al pessimismo: le due anime di Jules Verne
di Carmine Treanni

 


I cinquecento milioni della Bégum, dato alle stampe per la prima volta nel 1897, analizza la nascita della città moderna ed è un altro lucido esempio di come Verne sia in grado di fare - sotto le spoglie del racconto utopico - dell'aperta critica sociale alla struttura economica e socio-politica del suo tempo.

Ambientato negli Stati Uniti, dove si giocherà il destino della civiltà delle macchine. A fronteggiarsi sono due città, la salutista Franceville e l’industrializzata Stahlstadt (la «Città dell’Acciaio») che sorgono infatti sui terreni ottenuti in concessione rispettivamente dal medico parigino Sarrasin e dal chimico tedesco Schultze, uomini dalle convinzioni e dalle ambizioni diametralmente opposte, che per un destino bizzarro si sono trovati a dividersi la favolosa eredità di una principessa indiana, la Bégum Gokool: ventun milioni di sterline, che al cambio dell’epoca corrispondono ai fatidici cinquecento milioni di franchi evocati nel titolo. Franceville è un piccolo paradiso terrestre nel quale, grazie agli accorgimenti urbanistici adottati dal fondatore, gli abitanti godono di una salute e di una longevità invidiabile. Stahlstadt è invece una lugubre città-fabbrica, sottoposta a una legge marziale che trasforma ciascun operaio-soldato nel meccanico esecutore degli ordini impartiti dallo spietato Schultze.

Il romanzo, che risente fortemente del clima antiprussiano diffusosi in Francia dopo la sconfitta di Sedan nel 1870 nella guerra franco-prussiana, mette infatti a confronto il sogno di una utopica città borghese autodisciplinata, retaggio dell'illuminismo settecentesco, con una città fatta di acciaio e carbone, realizzazione della tecnologia tedesca: così Stahlstadt è descritta come una massa colossale composta da edifici regolari “sormontati da una foresta di fumaioli cilindrici, che vomitano dalle loro mille bocche torrenti continui di vapori fuligginosi”[17].

Oggetto della polemica è – nelle intenzioni di Verne – il magnate tedesco Alfred Krupp, le cui forniture di armamenti si erano rivelate decisive nel conflitto franco-prussiano.

È non è affatto casuale che tutto questo accada in America, un luogo più immaginario che reale, ma anche un mondo già fortemente globalizzato dal flusso delle informazioni e dei capitali finanziari.  

4. Conclusione

Se la popolarità che Verne si è mantenuta pressoché immutata, ieri come oggi, la lettura critica e profonda delle sue opere è tutto sommato recente, tanto da non spezzare il preconcetto che vuole Verne autore per ragazzi.  

I personaggi dei suoi romanzi, dal Capiano Nemo al Michel di Parigi nel XX secolo si illudono di vivere in un mondo stabile e dettato dalle regole della scienza. Così come le società descritte dallo scrittore francese – dalla Parigi del 1960 a Franceville e Stahlstadt de I cinquecento milioni della Bégum - dimostrano la sua vena utopistica e disegnano un mondo che è anche luogo di scontro sociale e politico. Un mondo governato dalla scienza e dalla tecnologia, ma anche tendente all’instabilità, che lo scrittore francese ha descritto sotto la metafora dell’avventura geografica.

Verne, in realtà, ha sempre avuto una “visione tragica delle relazioni umane”, un pessimismo che non è emerso solo alla fine della sua vita, anche se Jules Verne cambiò tono e atmosfere dei suoi romanzi solo nella tarda maturità. In realtà, il pessimismo è stata una “costante” della sua visione del mondo.

Proprio per questa sua duplice valenza, Verne è a pieno diritto un acuto precursore della fantascienza moderna - perché ne ha saputo incarnare perfettamente sia l’anima più avventurosa e tecnologica, sia quella più contraddittoria e di critica sociale - ma anche della letteratura tout court che si è alimentata di questa dicotomia per tutto il '900.

 


[17] Jules Verne, I cinquecento milioni della Bégum, Fanucci Editore, Roma 2005

 

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