Dal positivismo al pessimismo: le due anime di Jules Verne
di Carmine Treanni

 



3. Pessimismo e critica sociale

Verne è in ogni modo autore complesso, per certi versi uno scrittore dalle profonde contraddizioni. Una lettura non superficiale delle sue opere mette in luce che il postitivismo verniano nasconde in realtà un pessimismo profondo nei confronti degli abusi della scienza e nelle umane sorti e progressive, nonché nella stessa natura dell’uomo.

Verne non è stato, come talvolta si crede, un ingenuo celebratore della scienza, ma uno scrittore attento anche alle implicazioni sociali e politiche provocate dall’irrompere delle nuove tecnologie nella realtà sociale. Anche se il riconoscimento da parte della letteratura ufficiale arrivò solo nel 1948, “quando cioè un coraggioso gruppo di surrealisti, riuniti per l’occasione intorno alla rivista Arts et Lettres, rivendicò a Verne il diritto di cittadinanza nella grande letteratura di ogni tempo, sottolineando, oltre ai pregi della scrittura, delle scelte e dei meccanismi narrativi, il legame sottile e profondo che i suoi romanzi avevano col mito, o meglio, con alcuni miti fondamentali della civiltà occidentale; Butor, Carrouges, Schawab, rintracciano le linee che lasciano vedere il rapporto tra l’avventura della ragione e gli incubi inconfessabili dell’inconscio”[10].

Molto acuta, in questo senso, l’interpretazione di Michel Butor, che ha mostrato come alcuni romanzi della vecchiaia, specie L’eterno Adamo (L’éternel Adam, postumo, 1910) e La strabiliante avventura della missione Barsac (L’étonnante aventure de la mission Barsac, postumo, 1920), riflettano un atteggiamento pessimistico, o quanto meno problematico, nei confronti del sapere dell’uomo moderno[11].

Ma, in realtà, questa venatura di pessimismo è presente anche nelle sue opere più note, che avrebbero potuto prendere una piega completamente differente se il suo editore non avesse impresso una linea editoriale ben precisa ai romanzi che Verne doveva scrivere.

Com'è noto, il ciclo dei Voyages extraordinaires nasce dal progetto, studiato a tavolino tra Verne e il suo editore Hetzel, di riassumere tutte le conoscenze geografiche, fisiche, astronomiche, raccolte dalla scienza moderna.

Hetzel era interessato a creare una grande collana di libri d'avventure e viaggi. Verne, da parte sua, era conosciuto per i suoi articoli e per le commedie teatrali. Quando però lo scrittore francese presento all’editore un manuale sui viaggi in volo, Hetzel rifiutò il manoscritto e stimolò Verne a farne un romanzo. Nacque così Cinq Semaines en ballon del 1863, il primo romanzo dei Viaggi straordinari, a cui seguì un contratto che impegnava Verne per ben vent'anni, e a condizioni molto vantaggiose, purché mantenesse il ritmo di produzione di non meno di due romanzi all'anno. In più iniziò la collaborazione fissa alla nuova rivista giovanile edita da Hetzel, “Magasin d'Education et de Récreation”.

Verne, però, aveva pronto un nuovo romanzo, ossia quel Parigi nel XX° secolo, scritto per l’appunto nel 1863, ma ritrovato e pubblicato per la prima volta nel 1994.

Siamo nella Parigi del 1960. Il protagonista del romanzo si chiama Michel ed è un giovane poeta che si aggira per una metropoli in cui ci sono la ferrovia sotterranea, la luce elettrica, i boulevard assordati dal rumore di macchine d'ogni specie, la folla agitata. Una città in cui predomina la tecnologia e dove, di conseguenza, la cultura umanistica è bandita. Michel scoprirà, ad esempio, che dei nomi e delle opere di Hugo, Lamartine, Balzac, non resta traccia.

Parigi nel XX° secolo è pieno di visioni fosche e pessimiste sullo sviluppo della società francese, dominata dalla tecnica e dal denaro. Un romanzo “d’anticipazione”, nel senso appunto di previsione su un possibile futuro scenario della società e dell’uomo:

 

“Che cosa avrebbe detto un nostro antenato nel vedere quei viali illuminati con un bagliore paragonabile a quello solare, quelle mille vetture circolare senza far rumore sul sordo asfalto delle strade, quei magazzini ricchi come palazzi, da cui la luce si propagava in bianche irradiazioni, quelle vie di comunicazione vaste come piazze, quelle piazze vaste come pianure, quegli immensi alberghi nei qual alloggiavano sontuosamente ventimila viaggiatori, quei viadotti così leggeri, quelle lunghe gallerie eleganti, quei ponti gettati da una via all’altra, e infine quei treni sfavillanti che sembravano solcare l’aria con fantastica rapidità.

Indubbiamente sarebbe rimasto assai sorpreso; ma gli uomini del 1960 non lo erano più alla vista di quelle meraviglie; ne usufruivano tranquillamente, senza gioia, poiché dalla loro andatura incalzante, dal loro passo frettoloso, dal loro impeto americano, si intuiva che il demone della prosperità li spingeva avanti senza posa e senza quartiere”[12].

 

I parigini non avranno più tempo per leggere i classici della letteratura del passato, ma i best-sellers del 1960 si chiameranno La teoria degli attriti (in venti volumi), il Trattato pratico di ingrassaggio delle ruote motrici o, per gli appassionati di poesia, Armonie elettriche e Meditazioni sull’ossigeno.

 


[10] Massimo Del Pizzo, L’altro Jules Verne: “Le secret de Wilhelm Storitz” in “La Collina” n° 3, Editrice Nord, Milano 1982

[11] Michel Butor, Il supremo punto e l'età dell'oro attraverso alcune opere di Jules Verne, prefazione a Jules Verne, La trilogia del Capitano Nemo, Einaudi, Torino 1995

[12] Jules Verne, Parigi nel XX° secolo, Newton & Compton, Roma 1995

 

 

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