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Se vogliamo, possiamo pensare di chiamare futuristica questa “scienza delle
soluzioni immaginarie” che ha percorso il secolo e che, periodicamente, ha
proposto immagini del futuro che – a differenza di quelle sceneggiate dalla science fiction – si proponeva di
offrire sulle riviste di “attualità politica cultura” squarci di come sarebbe
stato il futuro. E’ curioso fra l’altro notare come, entrando poi nel futuro
“vero”, queste esercitazioni si siano diradate e siano poi quasi del tutto
cessate: le aspettative rispetto al futuro si nutrono dei periodi di sviluppo e
progresso, non di quelli di disorientamento e crisi, come per certi versi
appare il nostro. D’altra parte, già nel 1978, Jean Baudrillard notava in un
convegno a Palermo, come la fantascienza, realizzandosi il futuro, fosse morta,
essendo superata dalla realtà[12]. Ma c’è dell’altro, in queste cartoline, che le rende
particolarmente significative. Il passaggio dal XIX al XX secolo fu particolarmente
drammatico e cruciale. Si è trattato certo di una coincidenza, ma è comunque
vero che in quel periodo – da circa vent’anni prima a circa vent’anni dopo il
giro di boa del secolo – si addensano gli eventi e i fenomeni che producono le basi per la maturazione
della modernità e di radicali trasformazioni nella vita quotidiana, nella percezione
del mondo, nell’identità[13]. Da queste cartoline traspare invece una sensazione di
benessere e fiducia nel futuro che sembra contraddire la condizione di crisi e
disordine descritta in altre testimonianze dell’epoca, dalla narrativa, alla
saggistica, all’arte. D’altra parte, è vero che i periodi di passaggio sono
periodi contraddittori, e che quindi l’ingenuo ottimismo mostrato da queste
illustrazioni può essere uno degli aspetti della dialettica dell’epoca di cui
ci stiamo occupando: una visione positiva – positivistica? – del futuro, ad uso
augurale e festivo. L’iconografia e la grafica di queste cartoline richiama
quella dei primi balloons, come Little Nemo in Slumberland, o, per
tornare in Italia, Cirillino. Appare
evidente che le soluzioni a colori sono frutto delle nuove tecnologie della
stampa, che permettono tinte brillanti, contorni netti, buona definizione. Contemporaneamente, risulta chiara la parentela con le
illustrazioni dei libri di avventure e di fiabe da raccontare “affianco al focolare”. Queste cartoline costituiscono bene l’esempio di uno dei
poli della sensibilità di un’epoca di passaggio, che vedeva da una parte
rassicurazione e speranza, dall’altra crisi e paura. Siamo infatti in un periodo di transito, dalla tradizione
alla modernità, che se da una parte prova a rassicurarsi rappresentandosi un
futuro radioso, dall’altro lato avverte e denuncia il malessere con i romanzi
di Mann, Musil, Broch, Werfel, ma anche di Wassermann e Roth. E che, in maniera, problematica ma “popolare”, comincia a
proporre nuove ipotesi sull’avvenire attraverso i romanzi “di genere”, che
aprono alla nascita della fantascienza. Verne, Salgari, Wells, sono esempi di una coscienza del
trapasso da un’epoca ad un’altra che, seppure con altri mezzi, si affianca a
quella dei grandi scrittori della letteratura “alta”, come i mitteleuropei, e
qualche tempo dopo Proust e Joyce. Siamo in una fase storica in cui sono presenti – per
semplificare – due percezioni dello stato delle cose: uno scenario in cui un
primo sviluppo accelerato delle tecnologie – in particolare di quelle applicate
alle comunicazioni – proietta la società verso il futuro, e contemporaneamente
ne induce anche la crisi. Si sviluppano così due sensibilità: una più popolare e,
volendo, “moderna”, che guarda all’avvenire e allo sviluppo attraverso i primi
canali di diffusione della narrativa di massa; una più “aristocratica” e
apocalittica, che coglie i sintomi della crisi e li ribalta sulla percezione
dell’identità. Perché i grandi romanzi del passaggio fra i due secoli
sono – se mi si permette questa definizione – i “racconti dell’identità”
contemporanea, del compiersi del moderno, della sua crisi, e quindi anche della
crisi delle identità stabili e integrate. Non è certo casuale che il lavoro di Freud si sviluppi in
questi anni, e che alcuni autori si riferiscano direttamente a lui, come lo
Schnitzler di Doppio sogno e di La signorina Elsa.[14] Al contrario, la nascente cultura di massa – di cui la science fiction è parte integrante –
batte su altri tasti, quelli della rassicurazione e dello svago, tornando per
un verso alle origini del racconto, e riscoprendo quindi funzioni tipiche come
l’eroe, la lotta, l’avventura, l’amore; per un altro verso risolvendo il
conflitto che mette in scena in maniera “muscolare” e ottimistica. La fantascienza è sicuramente la modalità più significativa di espressione delle tendenze dell’immaginario collettivo in formazione nel passaggio fra secolo XIX e XX. |
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