Nostalgia del futuro[1] |
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di Adolfo Fattori |
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1)
Maestro
del passato[2] Il protagonista del secondo
romanzo di Jules Verne, in italiano Parigi
nel XX secolo[3], è un
giovane fuori del tempo. Il romanzo, poco noto e di recente riscoperto, che la
casa editrice Hachette ha pubblicato nel 1994, benché piuttosto legnoso, ha più
di un motivo di interesse. Non tanto negli scarti fra le previsioni
prefantascientifiche di Verne a proposito del nostro secolo – quelle che hanno
avuto un riscontro e quelle, invece, ingenuamente fallite: sottolinearle
sarebbe da parte nostra un esercizio boriosamente facile, ma poco utile –
quanto invece nella descrizione del protagonista e del suo modo di essere nel
mondo che lo circonda, e di uno dei suoi comprimari. Il 1960 che ci descrive Verne è uno strano mondo, molto
lontano da quello che noi abbiamo conosciuto, nei termini dello sviluppo delle
tecnologie e dei loro effetti sulla vita quotidiana, sulla cultura,
sull’organizzazione del lavoro. Intanto, la sfera della cultura e quella della produzione
sono perfettamente e inestricabilmente integrate, ma sono completamente
orientate verso lo sviluppo e la celebrazione della scienza e della tecnica.
Domina una Società generale di credito
istruzionale, ente paragovernativo, a quanto è dato di capire, che gestisce
e regola i rapporti fra i singoli, le loro propensioni e capacità, il lavoro,
la conoscenza. Le comunicazioni sono assicurate dal controllo
dell’energia del gas e dell’aria compressa, non esiste telefono – naturalmente
– la posta è ancora il miglior strumento di scambio di messaggi e notizie,
l’elettricità viene ancora sfruttata catturandola dai fulmini. In questo contesto, la cultura umanistica – che
automaticamente è diventata quella del passato – è desueta e svalutata: musica,
letteratura, arti grafiche sono ostracizzate e boicottate. Il protagonista del romanzo, figlio di un musicista ai
suoi tempi famoso, è un personaggio fuori del suo tempo, dislocato e solo. E’ per certi versi simile al protagonista dell’Autodafé di Elias Canetti[4]:
come questi, cacciato di casa, si illude di portare con sé, nella sua testa,
tutta la sua biblioteca, così Michel JérÛme Dufrénoy pretende di fare
da sentinella e araldo dell’umanesimo dei suoi padri nell’era della tecnica
immaginata da Verne. Un’era che ha completamente rinnegato i suoi padri e le
sue origini, e che marcia trionfalmente verso il futuro spinta dall’energia del
gas e dell’aria compressa. Sembra ancora, per altri versi, che il giovane Dufrénoy
provenga dal passato, che sia un disadattato, fuori posto nella società del suo
tempo, perso in un tempo mitico, disorientato e senza prospettive. Fin quando
non incontra un paio di simili, altre persone che, come lui, mimetizzate dietro
attività profane come quella di contabile, coltivano passioni e interessi “anticonformisti”
come i suoi. E ancor di più un vecchio zio, che diventerà il suo maestro del passato, rassicurandolo sul
valore delle sue convinzioni e delle sue scelte. Il romanzo, dicevo, non è certo una delle cose migliori
dello scrittore francese: le sue previsioni si rivelano del tutto sballate, sia
sul piano dello sviluppo tecnologico sia su quello dell’evoluzione del sociale
– tranne forse che per un uso molto particolare dell’elettricità: la sedia
elettrica. Gas e aria compressa hanno trovato applicazioni differenti da quelle
ipotizzate dal francese; né l’autore poteva immaginare la nascita della
categoria dei giovani così come si è
storicamente determinata: i suoi giovani sono, anche nel 1960, dei lavoratori,
e la loro eventuale ribellione alla società è dettata unicamente e
paradossalmente, nel futuro immaginato da Verne (completamente fondato sulla
razionalità, e che ha escluso le emozioni) da conservatorismo e individualismo.
Erano imprevedibili, ai tempi di Verne, gli sviluppi sociali avuti dagli anni
’50 in poi nella definizione della categoria sociale dei “giovani”. Si rivela
però, proprio per questo, forse più interessante sul piano dell’analisi dei
destini individuali, e della loro collocazione nella collettività. [1] Il saggio è apparso con lo stesso titolo come capitolo del volume Memorie dal Futuro- Tempo, spazio , identità nella science fiction, IpermediumLibri, Napoli 2004. Rubo il titolo di questo saggio a quello di un bellissimo libro illustrato, curato da Isaac Asimov, e pubblicato in italiano dalla Rizzoli nel 1988 (1986), in cui lo scrittore commenta una serie di cartoline di Jean Marc CÛtè, illustratore commerciale francese, incaricato nel 1899 di illustrare la vita nell’anno 2000. [2] E’ il titolo dell’edizione italiana di Past Master, un romanzo di R. A. Lafferty pubblicato in originale nel 1968 e in italiano dalla Nord di Milano nel 1972. [3] J. Verne, Parigi nel XX secolo, Newton Compton, Roma, 1995 (1863). [4] E. Canetti, Autodafé, Garzanti, Milano, 1974 (1935). |
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