Le avventure seriali dell'Immaginario collettivo

 

di Carmine Treanni

 

“Penso che fossero... le avventure seriali che eravamo soliti vedere la domenica al cinema (quella che preferivo era il Fantasma). Ogni settimana eri attirato a vedere un altro episodio, perché alla fine di ciascuno c'era una suspense. In termini drammaturgici, non era un finale soddisfacente, perché accresceva, e non riduceva, la tensione. La stessa insoddisfazione avviene nella mente dei serial killer. Il puro atto di uccidere lascia l'omicida in sospeso, perché non è perfetto come la sua fantasia”[1].

Può sembrare singolare che l’agente FBI ed ex Colonnello dell'esercito americano Robert Ressler, per spiegare cosa sia il serial killer, paragoni quest’ultimo alle “avventure seriali”, ossia ai cineserial che, dal 1910 al 1950, si proiettavano insieme ai film nelle sale americane.

Nel 1976 Ressler, a cui è stata attribuita la paternità del termine serial killer, iniziò ad intervistare in carcere i detenuti pluriomicidi, per scoprire le correlazioni tra la scena del crimine e la personalità dei criminali seriali. Il paragone con i serial cinematografici, non è fuori luogo. Anzi, per entrambi i fatti citati da Ressler soggiace una comune strategia nella messa in opera: la serialità. Nel caso dei serial cinematografici, ci troviamo di fronte ad un fenomeno cultural-spettacolare, in cui un prodotto cinematografico comporta la ricorrenza di schemi narrativi, tematiche, figure, tecniche, su cui si innestano le necessarie innovazioni ad ogni racconto compiuto. Nel secondo caso, i serial killer, la ripetizione di schemi nella pratica omicida viene ricondotta ad un’unica mente criminale, il serial killer appunto, e  ad una innovazione che nel caso specifico riguarda le diverse vittime.

Oggi, la serialità può essere considerata come una delle principali categorie della post-modernità,[2] che influenza il nostro vivere quotidiano: un processo che permette ad ogni individuo, attraverso variabili come la ripetizione, l’innovazione, il tempo e l’identità, di riordinare il caos provocato dall’esperienza della vita, ritualizzandolo in un continuo ripetersi di temi e situazioni. La stessa vita di tutti i giorni si svolge secondo una serie di riti/esperienze che di fatto sono seriali: ci svegliamo, facciamo colazione, andiamo a lavoro, etc. È chiaro che accanto al concetto di ripetizione si deve affiancare necessariamente quello di innovazione. Le mie giornate, pur svolgendosi secondo rituali più o meno ripetitivi, sono anche ricche di momenti nuovi e spesso inaspettati. Tuttavia, non c’è dubbio che la nostra identità si rafforza nella ripetizione di gesti e situazioni che ci aiutano a socializzarci nel ruolo che assumiamo nei diversi contesti: il lavoro, la famiglia, le amicizie, e così via.

La serialità, tuttavia, ha trovato storicamente un suo ruolo precipuo all’interno delle dinamiche del lavoro e in quelle produttive e rappresentative della cosiddetta cultura di massa.

La sostituzione progressiva del lavoro umano con la meccanizzazione - fino a costituirne un sistema organico e coerentemente articolato basato sull’utilizzo di macchine specializzate che producono pezzi tra loro identici ed intercambiabili – tocca il suo apice con il fordismo e la catena di montaggio introdotta nelle fabbriche, realizzando di fatto il passaggio da una produzione artigianale ad una realmente industriale.

La conseguenza diretta di questo nuovo tipo di organizzazione del lavoro è la produzione in serie di grandi quantità di merci in poco tempo. Questo permetteva un aumento dei salari tale da poter rendere consumatori, di queste grandi quantità di merci, proprio quegli stessi operai impiegati per produrle. Il termine “fordismo” divenne così sinonimo di un sistema produttivo basato sulla catena di montaggio, capace di una produttività industriale relativamente elevata.

Queste caratteristiche si iniziano ad affermare anche all’interno dei processi di industrializzazione della cultura, iniziati in Europa nell’Ottocento, in periodi diversi a seconda delle realtà nazionali, con l’affermazione di tecnologie adeguate e pubblici di massa.


[1] Andrea Marzulli, I serial killer al cinema,  in Cinema Studio,  Anno 2, Numero 15,  www.cinemastudio.com

[2] Sergio Brancato,  Voce Serialità in Alberto Abruzzese, Lessico della comunicazione (a cura di Valeria Giordano), Meltemi Editore, Roma 2003.

 

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