Non
è un caso che Mad Men mostri spesso
audizioni
televisive, provini fotografici e veri e propri spettacoli; o che
alcuni dei personaggi, come Ken Consgrove, Paul Kinsey e Betty Draper,
desiderino sfondare nel mondo del cinema. La serie vuole insistere
proprio sulla poca autenticità che contraddistingue i
comportamenti di
Don e dei suoi colleghi, mettendo in evidenza i meccanismi performativi
in cui spesso restano intrappolati. “Questa è
l'America. Scegli un
lavoro e poi diventa la persona adatta a farlo” intima
l'avvenente
Bobbie Barrett a Don (episodio The New Girl, 2x05)
Reinventarsi sempre, reprimendo trascorsi dolorosi, obliterando i
propri desideri, soffocando le proprie passioni. Mad Men
sembra allestire una seduta psicanalitica in cui pubblico e
protagonisti confrontano il passato nel tentativo di seguire il
percorso di una deriva annunciata, e rintracciare l'origine del
malessere culturale che vive l'America contemporanea. In un
commento all'episodio The Gold Violin (2x07) Weiner
suggerisce proprio una lettura di questo tipo per Mad Men,
affermando che la serie non offre una narrazione omogenea, ma insegue
la deriva dei “detriti” che scompostamente
compongono la vita dei
protagonisti. La pretesa di andare avanti cullati da una cesta
protettiva, lasciando che gli eventi scorrano per sempre in modo
indolore, è un'illusione che presto diventa il fondamento di
identità
tormentate e instabili. Betty, insoddisfatta dalla vita matrimoniale,
è
costretta a rivolgersi a uno psicanalista, mentre Salvatore Romano vive
in modo molto tragico la sua omosessualità, soffocata da
un'unione
eterosessuale di sola facciata. “Non si può
semplicemente andare
avanti”, dice Weiner, “e aspettarsi che niente ci
resti attaccato
addosso”(Weiner M., 2008). La voce del passato, che la serie
rende
simbolicamente attraverso continui riferimenti al materialismo e alla
cultura del rifiuto – garbage, litter
– torna a ossessionare pubblico e personaggi di Mad
Men che nello specchio fittizio creato da Matthew Weiner
trovano difficoltà a riconoscersi e accettarsi. Ambientata
nella Manhattan del 1959 in costante ascesa economica, popolata da un
esercito di uomini d'affari WASP all'estenuante ricerca
dell'affermazione personale, New York non è mai apparsa
così estranea
in una serie televisiva che non avesse premesse dichiaratamente
distopiche o fantascientifiche. Che cosa rimane oggi di quel mondo
prospero e autoindulgente? L'attacco alle Torri Gemelle, i tracolli
economici dei potentati bancari e la crisi del dollaro, il conflitto
mediorientale e un serpeggiante malcontento socio-culturale hanno
stravisato New York, contribuendo all'effetto defamiliarizzante che Mad
Men
sta esercitando sulla critica americana. La stampa è insieme
affascinata ed interdetta dal realismo con cui i pubblicitari di
Madison Avenue si destreggiano tra manipolazioni, corruzione, relazioni
extraconiugali, sessismo e razzismo dipingendo le tinte opache di
un'America ugualmente manierista e ambigua. Chris Provenzano, autore
della serie, crede che il successo di Mad Men
irradi proprio da questo strano equilibrio tra familiarità
ed estraniazione. Per Provenzano Mad Men offre
l'occasione di indagare le premesse di un grande cambiamento lontano
dalla piattaforma irrigidita di qualche manuale storico. I lunghi anni
Cinquanta sono come “un pezzo mancante nella storia
americana”,
afferma, “il primo periodo strano” da individuare
per diagnosticare un
cambiamento che oggi sembra investire più che mai la cultura
americana”
(Provenzano, ibidem). Quel periodo di
prosperità, tanto
prossimo alla rivoluzione culturale quanto ingenuamente aggrappato alle
certezze del passato, riemerge a infestare il presente, mostrando il
proprio volto meno rassicurante. A trent'anni dal successo di Happy
Days (1974-84), e a oltre quaranta dalle songs dei Beach
Boys,
il decennio postbellico con il millenarismo atomico, la corsa agli
armamenti e l'ascesa economica appare in tutta la sua
complessità.
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