Mad Men, verosimile nascita (del malessere) di una nazione |
di Enrica Picarelli |
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Quest'esigenza di re-interpretazione storica ha fruttato alla serie il
premio come miglior dramma televisivo, il più prestigioso tra i molti
che le sono stati assegnati in questi due anni, aggiudicando al
palinsesto della AMC un prodotto che molti avrebbero accreditato alla
più temeraria HBO. Mad Men è una serie giovane, nata nel 2007 dalla penna di Matthew Weiner, produttore esecutivo e autore dei Sopranos.
Alla sua seconda stagione, in Italia la distribuzione della prima è
andata a Sky-Cult, ed è stata accolta con buoni ascolti. Nelle
intenzioni dei produttori, Mad Men deve essere un dramma
introspettivo sulla nascita del sogno americano e sull'avvento dei
grandi cambiamenti dei tardi anni Sessanta. La serie segue le vicende
della Sterling Cooper, un'agenzia pubblicitaria di Madison Avenue in
via d'espansione, e dei suoi giovani impiegati tra cui Don Draper,
creativo geniale e dal passato misterioso, amante delle donne e padre
di famiglia irreprensibile. Lo spessore dei personaggi, che nei primi
episodi appaiono irrigiditi da atteggiamenti da confraternita, immaturi
e sessisti, va lentamente aumentando fino ad adombrare l'esistenza di
un mondo caleidoscopico e stratificato in cui niente è autentico ma
tutto nasconde un doppio fondo. Protetta dal conformismo dell'epoca,
l'esistenza dei protagonisti si svolge in termini tutt'altro che
irreprensibili scadendo nel razzismo, nell'omofobia, nella corruzione e
soprattutto nella menzogna. Il loro solo obiettivo è assicurarsi una
fetta del sogno americano, guadagnare, affermarsi professionalmente e
socialmente, e per ottenerlo sono disposti a tutto. “Non importa ciò
che sei ma come ti vendi” è il motto di Draper che dietro la facciata
da uomo perbene, nasconde segreti non ancora disvelati. La sua capacità
di dissimulazione si rivela indispensabile a gestire una doppia vita
divisa tra la famiglia, dislocata a distanza, nei sobborghi bene di New
York, e le amanti che incontra nella City, spesso in occasione
di appuntamenti sociali ai quali partecipa come uomo-immagine della
compagnia. “Che cosa c'è lì dentro?” domanda silenziosamente sua
moglie, guardandolo dormire dopo una cena sociale con un partner della
Sterling Cooper (episodio Ladies,1x02). Nessuno conosce davvero
Don, e anche Betty, sua moglie, sembra essersi fermata davanti a una
facciata, raccogliendo solo un riflesso molto debole dei drammi che
affliggono suo marito. Nessuno conosce davvero Don e il punto della
serie sta proprio in questo gioco di differimenti e ritardi continui
che impedisce di inquadrare stabilmente personaggi e contesto. Tutto
sembra girare vorticosamente, scivolare lontano, cambiando proprio
quando sembra aver raggiunto un equilibrio. Nel corso della prima
stagione, la posizione di potere che Don si è faticosamente guadagnato
all'interno dell'agenzia viene messa a repentaglio da Pete Campbell, un
nuovo creativo, che scopre e rivela a Bertram Cooper la vera identità
di Don. Non un eroe di guerra, come attesta la medaglia al valore
conservata in un cassetto, ma un anonimo sergente che si è rifatto una
vita spacciandosi per un commilitone morto nella guerra di Corea di cui
ha assunto nome e passato. “Pensate a me come a Mosè. Ero solo un
bambino in una cesta” dice Donald. Un bambino comparso dal nulla, o se
vogliamo un uomo senza genealogia che, plasmato dalle circostanze,
negozia una nuova storia per se stesso. Don “vorrebbe essere un uomo
diverso da quello che è”, argomenta Lynn Smith (2008, trad. italiana
dell’autrice, ndr), e come lui, anche altri personaggi mostrano
un'enorme indulgenza verso se stessi inseguendo modelli immaginari e la
chimera di un potere assoluto. |
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