Mad Men, verosimile nascita (del malessere) di una nazione di Enrica Picarelli | ||
L o scorso 21 Settembre negli Stati Uniti si è svolta la consegna degli Emmy Awards, gli Oscar della televisione. Per la sessantesima volta dal 1949, la ATAS (Academy of Television Arts & Sciences) ha premiato i programmi più innovativi emersi dalla giungla di networks, canali satellitari, televisione pubblica e a pagamento che affollano l'universo mediatico d'oltreoceano. Avvolta in un'atmosfera di grande trepidazione, una fauna di personaggi più o meno noti prende posto all'interno del Nokia Theatre di Los Angeles per celebrare quella che Robert Thompson chiama la “seconda età dell'oro” della televisione americana (Thompson R.J., 1996). Dalla sala si scorgono i visi familiari di Glenn Close, Kevin Spacey, Steve Buscemi e Robin Williams. Come sono finite le star hollywoodiane a un gala televisivo? Non si tratta di una trovata pubblicitaria, ma del sintomo della sofisticazione qualitativa che, nell'ultimo decennio, ha generato la cosiddetta “art television” (Thompson K., 2003). Come suggerisce Jason Mittell, parte del suo fascino deriva infatti proprio dal curriculum degli autori coinvolti che sfruttando la forma seriale, possono esplorare “sfide e possibilità creative più complesse di quelle offerte da un film di due ore ottenendo la stessa resa qualitativa” (Mittel J., 2006). Lo scopo è creare prodotti appetibili all'industria televisiva e ad un pubblico sempre più esigente, e in grado di circolare su multiple piattaforme mediatiche, dal satellite al Dvd all'iPod e Internet, senza annoiare. La premiazione di Glenn Close come miglior attrice protagonista per il poliziesco Damages (2007) testimonia proprio di questa ascesa cinematografica della televisione che il successo globale dei Sopranos (1999-2007) aveva già messo in evidenza negli anni scorsi. Dopo la sfilata delle star, il pubblico del Theatre può godersi la proiezione di alcuni spezzoni degli show in gara: tra polizieschi, commedie e drammi ospedalieri il maxischermo lascia poi scorrere una sequenza sorprendentemente stridente. Incuriositi, gli spettatori si sistemano meglio in poltrona, apprezzando la tenue melodia swing che introduce le vicende di un personaggio vestito in un completo grigio impeccabilmente inamidato. Il suo nome è Donald Draper e siede al tavolo di un bar fumoso, da solo. Lo circonda il chiacchierio di giovani professionisti ricchi e molto sicuri di sé in pausa dopo il lavoro. L'atmosfera è elettrica ma rassicurante, la calda luce delle lampade si riflette sul bancone di legno mielato creando un ambiente intimo che avvolge il tavolo appena discosto da cui Don fuma pensosamente. Il cappello poggiato poco più in là nasconde qualche bicchiere vuoto di Martini, scolati mentre prende appunti sul retro di un tovagliolo da cocktail. |
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