Sandro Penna, il tempo del sogno | di Erika Dagnino | |
Nel sonno incerto sogno ancora un poco.
Stratificazioni temporali, quindi ulteriore indefinitezza,
collegabile a una sorta di non visibilità poiché
il dormiente in questa
incertezza sta sognando – per definizione in qualche modo il
tempo del
sogno è indeterminato – e quindi ignorando il
momento della giornata
esterna: l’attenzione converge sul di fuori
del fatto, del dato
reale, collocandolo nel segno totale dell’indeterminatezza
quasi fosse
una ripresa oggettiva, sembra guardare dall’alto come se la
sua
dimensione onirica si solidificasse, presa in blocco, la
visibilità
diviene il dato proprio dalla persona che sta
‘dormendo’,
nell’invisibilità dall’indeterminatezza
temporale. La visibilità del
sonno si manifesta contemporaneamente
all’invisibilità di tutto quanto
ne sta fuori. Sorta di dimensione esterna indeterminata, dunque, di
invisibilità del mondo contrapposta a una sorta di
visibilità
interiore. Se facessimo entrare in azione un ipotetico occhio
guardante, la dimensione di colui che sogna sarebbe autosufficiente in
virtù del suo stesso stato di sognante, tutto il resto
sarebbe
invisibile. Come un riflettore puntato sulla situazione fantasmatica, e
tutto il resto, l’extraonirico, invisibile. Quasi una
cancellazione che
determinasse una funzione sostitutiva del sogno rispetto alla
realtà.
Il giorno potrebbe diventare uno schiudersi di una
visibilità esteriore, ma il forse
implica un passaggio assolutamente ipotetico alla stessa
luminosità,
lasciando presupporre un trionfo della visibilità
dell’invisibile –
quasi visibile – se è vero che le nostre immagini
di realtà possono
essere rivisitate nitide fino ai minimi dettagli e ritagli, mentre
l’immagine lirica è e rimane generalmente
indefinita.
La nostra esperienza ci parla poi del manifestarsi delle zone oscure del sogno: tutto quello che nell’atto del sognare si percepisce come nitido secondo la logica onirica, la stessa indefinitezza dei contorni, riletta con gli occhi della veglia, spesso riconduce a zone di poca definitezza. Immagine, ricordo che rendiamo oggettivi e perfino contigui nella nostra ricostruzione. Recuperando sparse immagini, e qualche volta un abbozzarsi della loro processione, siamo costretti a un immediato compatto senso di vaghezza, di difficoltà memoriale dei contorni, dei colori, lo sfocamento identificandosi come recupero non realistico, anzi sorta di pre-realismo, nel tentativo naturale, istinto irrevocabile, forse senza obbligata necessità funzionale, o funzione necessaria, di ricostruzione e concatenazione di ciò che è non del tutto sufficientemente memoriale, ma temporaneamente ricostruibile e ripercettibile nella nostra soggettività di veglia, magari preaggiungendo nuovi elementi al futuro scaturire del sogno. | ||
[1] [2] (3) | ||
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. Blanchot M., “Lautréamont et Sade”, 1963, trad. it. Lautréamont e Sade 1963, SE, Milano, 2003. |
. Lautréamont I. L. D. (conte di) Le Chantes de Maldoror. Poesiés - Lettres, trad. it. Canti di Maldoror. Poesie - Lettere, RCS, Milano, 2002. |
. Penna S., Poesie, prefazione di Cesare Garboli, Garzanti, Milano, 2000. |
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