Il tuo
primo disco, Dream Journey
(1969), era una
commissione per il Ballet Rambert. Il tuo rapporto con la danza
è
sempre stato molto stretto e nella tua carriera hai composto per molte
compagnie di balletto o di danza contemporanea. Puoi spiegare le
origini di questo interesse? Bisogna risalire a
quando avevo
quattro anni; m’intrufolavo al cinema e al buio trovavo una
poltrona
libera. I film erano per grandi, molto drammatici, e così
era anche la
musica, che su di me aveva una grande presa che è durata
anche quando
sono cresciuto. Più tardi, lavorando per la danza moderna,
ero io
quello che creava la “colonna sonora” per i
“film” drammatici che si
svolgevano sul palcoscenico. La mia prima partitura per un balletto
moderno mi fu commissionata grazie a un percussionista classico che
conoscevo, Derek Hogg, che poi mi chiese di trovargli un nome migliore.
Diventò Derek Davison e, perbacco, sapeva davvero far
tuonare i
timpani. Derek lavorava con il Ballet Rambert. Una volta venne a casa
mia, curioso di conoscere il mio lavoro musicale. Gli suonai una mia
recente composizione per flauto di due minuti e mezzo. Lui mi
consigliò
di orchestrarla e di ampliarla portandola alla lunghezza adatta a un
lavoro di danza moderna. Mi parve una sfida interessante e la raccolsi,
componendo due movimenti di circa ventisei minuti complessivi. Il primo
movimento per due flauti e tre percussionisti: Davison, Stevens e
Smith. Il secondo movimento con in più due sax tenori, un
sax baritono,
tre trombe, fra cui Kenny Wheeler per le note acute, e un
contrabbassista che doveva suonare un ostinato in 3/8 per quattordici
minuti. Sono contento di non aver dovuto farlo io. È toccato
una volta
ad Harry Miller, un’altra a Daryl Runswick, che suonava di
solito il
basso con Ray Russell. Fu anche allora che incontrai Wendy Benka, che
in seguito avrebbe lavorato con me come musicista. Ora, Wendy conosceva
un coreografo della Rambert che era disperatamente in cerca di qualcosa
di nuovo e diverso. Dunque, raccomandato da Wendy e da Derek, andai a
un appuntamento con il coreografo. Da lì viene Dream
Journey.
Hai anche suonato dal vivo per le compagnie di danza,
ne vuoi parlare? È capitato che mi
venisse commissionata musica per nastro magnetico che era musique
concrète.
Il nastro veniva usato per la rappresentazione e quando la coreografia,
i costumi e le luci erano stati ultimati, io aggiungevo dei nuovi suoni
e suonavo dal vivo seguendo quello che vedevo e improvvisando ogni
volta. Soprattutto con percussioni, perché avevo molti gong,
diversi
tipi di cimbali cinesi e strumenti fatti a mano con ossa, gusci di
lumaca, bastoncini di bambù e qualunque cosa trovassi, che
creavano una
“texture” sonora interessante. Comporre e,
naturalmente, suonare dal
vivo per il balletto è affascinante, perché si fa
esperienza della
musica dentro un medium completamente diverso. Si
vive dentro
il concetto dell’allestimento teatrale e lo si completa e
amplia con la
propria creatività musicale. Quando suonammo Diversions
con il
London Contemporary Dance Theatre, il mio Open Music Trio era
addirittura parte dell’allestimento scenico. Alcuni passaggi
della
musica dovevano essere suonati per corrispondere ai movimenti
coreografici, ma restavano ampie possibilità
d’improvvisazione.
| |
L’opera
durava quarantacinque minuti e a volte, alla fine della
rappresentazione, eravamo così eccitati che continuavamo a
suonare in
camerino. Un’altra area per te di grande interesse
è la poesia. Hai
partecipato anche a reading con William Burroughs, Gregory Corso e
Lawrence Ferlinghetti. Vuoi parlarcene? Sì,
mi sono esibito ad
Amsterdam, Rotterdam, Parigi e Roma. Sono stato citato come poeta e
sono stato il solo a esibirsi con musica. In uno di questi festival ho
cantato una mia canzone che conteneva le parola
“Cocaina… c’è chi la
tira… ti brucia il cervello”. Gregory Corso era
fra il pubblico e si è
messo a gridare “No, cazzo, non è vero, non
è vero, cazzo”. Gregory era
un simpaticone. Sono stato anche a un festival di poesia a Roma, nel
parco di Villa Borghese, con migliaia di persone sedute
sull’erba. A un
certo punto, mentre Steve Lacy stava preparando il microfono per il suo
sax soprano, mi misi dietro il pubblico e, con la mia voce da
“West
Side Story”, gridai “Maria!!!”. Come mi
aspettavo, centinaia di teste
femminili si girarono a cercare chi le stesse chiamando.
Verso la fine degli anni Settanta ti sei trasferito
in Germania,
dove vivi tuttora. Hai cambiato anche direzione artistica: basta jazz
e, al suo posto, musica meditativa e ambient. Perché? Potrebbe
entrarci il fatto che improvvisamente mi trovo a vivere isolato nella
campagna dopo quasi vent’anni a Londra. Un giorno mia moglie
è venuta
nel mio studio e mi ha suggerito di pensare a un lavoro imperniato su
Stonehenge. All’epoca possedevo un flauto basso
dell’ex-Germania
orientale. Era eccellente per gli ipertoni, che usai nella composizione
per evocare l’aspetto magico di quel cerchio di pietre
vecchio di
cinquemila anni. A volte mi viene anche chiesto di comporre musica in
relazione a dipinti e a sculture. Una volta, a una mostra, Tina se ne
è
uscita con l’idea di suonare sopra una registrazione di
monaci tibetani
che cantavano l’OM che si sentiva tramite gli altoparlanti
nel luogo
dove stavo preparando i miei strumenti. Di conseguenza, nei tre anni
successivi ho prodotto tre cd con questo OM, in cui suono i sax tenore,
alto e soprano, il flauto, il flauto contralto, il flauto basso, il
flauto contrabbasso, il flauto giapponese di bambù,
l’ocarina e il
flauto di vetro. Una volta suonai il flauto di vetro in un concerto e
uno del pubblico mi gridò che non era vero che era di vetro. “Ah no?”,
ho risposto. “Adesso lo sbatto contro l’asta del
microfono e se non si
rompe ti dò mille euro; se invece si rompe, li dai tu a
me”. Si è
rannicchiato sulla poltrona e non l’ho più
sentito. E bada, non sarei
stato contento di vincere la scommessa, se lui avesse accettato.
Hai in archivio qualcosa d’inedito? Nuovi
progetti in fase di realizzazione? Curioso
che tu me lo chieda, perché continuano ad arrivarmi per
posta nastri
dal vivo del mio Open Music Trio, che un mio fan ha registrato ancora
nei buoni vecchi anni Settanta. Quanto a nuovi progetti, sto
lavorando su nuove composizioni per i miei flauti e i loro ammennicoli.
Ho risagomato anche tutti i bocchini dei miei sax, di recente, e ho
scoperto un nuovo approccio agli strumenti. |