Claudio Lugo: nel corpo, nel suono di Erika Dagnino |
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L
a finestra illuminata, la notte inoltrata, il bambino dormiente. Bambino che vuole dormire con la luce accesa, aggravando e al tempo stesso addolcendo il senso di paura; e sognerà. Ma i sogni non necessariamente possono essere bellissimi in una notte estiva che sembra presaga anche dell’infelicità di un fanciullo che ha tardato ad addormentarsi e nel sonno avrà forse una sorta di terrori legati alla sua vita del giorno. La paura diurna diventa in qualche modo notturna, durante l’ immobilità del sonno, della vita, del bambino nel suo essere. Unico mutamento il sogno, collocandolo in un’altra dimensione, probabilmente non meno angosciosa di quella della veglia. È in uno stato di solitudine profonda mentre il passare veloce del treno – dando anche un senso di ricadimento in quella solitudine infantile durante lo scorrere metaforico del tempo fin troppo veloce – sembra fare da contrappunto all’immobilità del dormiente in un interno come piccolo spazio-tempo protettivo in cui egli ancora per poco forse riesce a essere se stesso; al movimento sul posto del mare – i punti fermi sembrano essere proprio il bambino e il mare – sempre lo stesso o che esiste come esisteva prima. Mentre a mutare è chiaramente il treno, o meglio, non il treno in sé, ma il senso del cambiamento è dato dal suo spostamento, infatti nel giro di breve tempo sarà giunto o starà correndo altrove, attraversando altri paesaggi. | ||
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