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Claudio Lugo: nel corpo, nel suono
di Erika Dagnino |
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La finestra illuminata, la notte inoltrata, il bambino dormiente. Bambino che vuole dormire con la luce accesa, aggravando e al tempo stesso addolcendo il senso di paura; e sognerà. Ma i sogni non necessariamente possono essere bellissimi in una notte estiva che sembra presaga anche dell’infelicità di un fanciullo che ha tardato ad addormentarsi e nel sonno avrà forse una sorta di terrori legati alla sua vita del giorno. La paura diurna diventa in qualche modo notturna, durante l’ immobilità del sonno, della vita, del bambino nel suo essere. Unico mutamento il sogno, collocandolo in un’altra dimensione, probabilmente non meno angosciosa di quella della veglia. È in uno stato di solitudine profonda mentre il passare veloce del treno – dando anche un senso di ricadimento in quella solitudine infantile durante lo scorrere metaforico del tempo fin troppo veloce – sembra fare da contrappunto all’immobilità del dormiente in un interno come piccolo spazio-tempo protettivo in cui egli ancora per poco forse riesce a essere se stesso; al movimento sul posto del mare – i punti fermi sembrano essere proprio il bambino e il mare – sempre lo stesso o che esiste come esisteva prima. Mentre a mutare è chiaramente il treno, o meglio, non il treno in sé, ma il senso del cambiamento è dato dal suo spostamento, infatti nel giro di breve tempo sarà giunto o starà correndo altrove, attraversando altri paesaggi. Nell’immobilità notturna del bambino, forse l’unico mutamento è lo stato onirico, che lo conduce o trasporta in una alterità contrapposta alla notte, all’ambiente esterno ma anche interiore. Permanendo l’elemento di purezza e di candore, l’assunzione di un soggetto fragile su cui si focalizza tutta l’attenzione della vita presente e futura, come sottolineatura di debolezza e fragilità umana: è questa sorta di innocenza primigenia, di candore sensuale, ad apparire come l’ultima risorsa. Ed è sempre riconducibile a una condizione di solitudine dolorosa ma anche gioiosa: essendo e rimanendo il sogno il momento in cui il bambino ritrova la propria autenticità, oppure sogno che ribadisce lo stato di paura. Se dietro la finestra illuminata
Passa veloce un
treno Questa una delle poesie di Sandro Penna, nella voce recitante
di Sylvano Bussotti e nella voce saxiana di Claudio Lugo, la prima
delle tracce delle Video-Letture al Saxofono (Produzione
Dissonanzen, con il Comune di Napoli) su supporto dvd –
estratto dell’omonima performance avvenuta al Teatro Nuovo
nel ’97 nell’ambito del festival L’Anno
della Lettura a Napoli – opera
multimediale che impegna il musicista nella ‘recitazione
strumentale’ di alcuni versi del poeta “sapienziale,
mascherato da epigrammista delle sensazioni” come
lo definisce Cesare Garboli nella pagina prefazionale al volume Poesie1. E a proposito di condotto oro-faringeo, tra
i general remarks all’interno del
genialmente bizzarro Findings di Steve Lacy figura
la sua esplicita raccomandazione ai saxofonisti di aver cura dei propri
denti e gengive, con regolare frequenza dal proprio dentista, per il
buon morso richiesto dallo strumento5. Se poi sul
piano individualmente strumentale il cavo fonico nasconde
l’abilità dello strumentista:
“L’evidenza delle mani impegnate nella
manipolazione dell’ordigno – come il Bagatto gioca
le sue carte – cela la vera technos del
saxista. Tutta intimamente orale, celata agli sguardi, agisce nel cavo
fonico; la bocca, le labbra, certo, anche il soffio.. ma è
l’indicibile della lingua tattile, umida, la sua
abilità occulta (famosa anche tra le giovin signore bene
della NYC di fine anni ’40, che andavan cercando golose
quell’abilità tra i boppers – Bird al
top – come si cerca un gadget
‘up to date6’)”, sul piano
letteralmente socioculturale: “L’utopia
contro-riformistica del suono puro e perfettamente/universamente
omologato che informa tutto il processo evolutivo della musica colta
occidentale trova nel sax – tra tutti gli strumenti
– l’infrazione più eclatante e sfuggente
(d’altro canto la sua forma è un punto
interrogativo capovolto…). È singolare che negli
anni trenta, proprio quando Marcel Mule e i suoi allievi sdoganavano la
‘pipa di nichel’ presso il Conservatorio Superiore
di Musica di Parigi come ultimo ritrovato tra gli strumenti
‘classici’ e ‘colti’, lo sbarco
‘extracomunitario’ del jazz afroamericano invadeva
le caves della loro città con bande
munite dello stesso oggetto ricurvo ma armate di suoni sfacciati e
impresentabili. Quanto dovettero penare i fondamentalisti del
sax-accademico per castrarne e nasalizzarne il timbro! Di tutto fecero
per distinguersi da quegli hobos negri e
inopportuni che glissavano tra le note, raschiavano via il suono
dall’onesto e benpensante pentagramma; per non parlar di
tutto quel soffio vibrante! Osceno, osceno7!” (Oggi come oggi l’Ur-Poeta suonerebbe il mio strumento; mi ci gioco il sax!8).”
:: note :: 1. Sandro Penna, Poesie, Prefazione di Cesare Garboli, Garzanti, Milano, 20002. Claudio Lugo, Intervista curata da E. Dagnino, giugno 2008, Genova 3. Lugo, ibidem 4. Lugo, ibidem 5. ‘As for the teeth, saxophone requires a good bite. Take good care of your teeth and gums, be careful with sugar and alcohol. See your dentist regularly.’ Steve Lacy, FINDINGS. My experience with the soprano saxophone. CMAP / OUTRE MESURE, Paris, 1994 6. Lugo, ibidem 7. Lugo, ibidem 8. Lugo, ibidem |