Quanto dovettero penare i fondamentalisti del
sax-accademico per castrarne e nasalizzarne il timbro! Di tutto fecero
per distinguersi da quegli hobos negri e
inopportuni che glissavano tra le note, raschiavano via il suono
dall’onesto e benpensante pentagramma; per non parlar di
tutto quel soffio vibrante! Osceno, osceno7!” E
tornando al corpo, – non solo inteso come esercizio fisico ma
anche come manifestazione visibile del corpo stesso, collegata alla
produzione di suono, ed eventualmente di senso, in
un’oscillazione continua tra distanza e vicinanza, tra
movimento respiratorio specifico, e non solo, e la musica –
al suo essere imprescindibile, inteso proprio nella sua materialità,
per la composizione e l’esecuzione di un brano
musicale: “Di fatto la musica è
endemicamente elusiva della mediazione linguistica; by-passa la
produzione significante vivendo nel puro continente
del senso; inteso come seme astratto e germinale dell’atto
comunicativo, ma anche proprio come sensitività fisica,
corporea. La musica esiste ovunque, comunque e
quantunque perché –
catarticamente – lascia ‘a parte’ il
faticoso vissuto dell’interpretazione significativa,
ri-connettendo la più astratta e impalpabile delle
stratisfere immaginative (strutture di pensiero?...calchi di
pensiero?...) con la più tattile, sensuale e fisicamente
pervasiva delle esperienze corporee. Infatti; la danza… Prendiamo
il caso del respiro. Nell’atto del suonare uno strumento a
fiato il respiro s’armonizza, anzi s’assoggetta
alla produzione sonora. Lo fa anche nel parlare; ma in questo caso
– tranne che in accademiche arti oratorie – la
gerarchia non gli impone rigorosi modelli di controllo. Il referente
è il canto. Il fiato che diventa
suono/forma/musica è come se, pur ponendosi come fattore
imprescindibile, sospendesse le sue funzioni fisiologico-vitali.
L’atto più essenziale al nostro vivere il presente
biologico – e biograficamente primigenio – gioca!
Gioca con noi. Questo mi pare straordinario! Il ri-condurre la cosa
più seria che abbiamo, il meccanismo corporeo fondante la
nostra stessa esistenza, alla dimensione ludica è nella sua
sublime follia quanto di più ri-generante l’antropos
abbia escogitato. I bambini, nell’atto della lallazione,
quasi si soffocano mortalmente nell’apnea panica del canto.
La vera sfida alla fatale temporalità non è il
primo vagito, reazione robotica alla disumanità del dolore,
ma bensì il primo gorgheggio ludicamente gratuito. Orfeo,
canto incarnato/respiro sonoro, nel fallire in amore vince –
una tantum, ma tanto basta – sulla morte; col fiato.
(Oggi come oggi l’Ur-Poeta
suonerebbe il mio strumento; mi ci gioco il sax!8).”
|