Rudy
Rucker o come preservare | |
di Carmine Treanni* | |
Capita,
a volte, che i detrattori della fantascienza pongano una questione
apparentemente cruciale: la realtà ha ormai superato la science fiction.
Il genere, secondo questi dotti interlocutori, non riesce più a stare al
passo della scienza e di quanto di concreto e tangibile accade nel mondo.
Diventa, in qualche modo, addirittura obsoleta.
Capita,
a volte, di imbattersi in uno scrittore come Rudy Rucker, che –
guarda un po’ la combinazione – è anche uno scienziato di fama
mondiale. E allora, scopri che la fantascienza ha ancora molto da dire,
soprattutto quando la creatività di certi scrittori riesce a seguire, a
partire dalla scienza, sentieri singolari, fino ad allora poco o per
niente battuti. Rudy
Rucker, pseudonimo di Rudolf Von Bitter Rucker, è uno dei più importanti
scrittori di fantascienza degli ultimi vent’anni, ma è anche uno degli
eredi di quella stirpe di scrittori-scienziati innamorati della science
fiction, tanto da mettere il loro sapere al servizio di una
letteratura che – a suo modo – come la scienza guarda al futuro
dell’uomo. Nato
a Louisville, nel Kentucky (USA), nel 1946, Rudy
Rucker ha studiato all'Università di Swarthmore, dove ha ottenuto una
laurea in Matematica, e dall'università di Rutgers un dottorato in
Logica. Ha tenuto corsi di Filosofia della matematica a Oxford e a
Heidelberg, ed ora insegna Informatica all’Università di San Jose in
California. Ma non solo. Ha lavorato come programmatore ed è stato anche
leader di una scalcinata band rock.
Come
scrittore di fantascienza ha esordito nel 1980 con Luce bianca (White
Light, or, What Is Cantor's Continuum Problem?) - pubblicato in Italia da
Bompiani nel 1996 -, ma la sua fama è legata al romanzo Software - I
nuovi robot (Software), pubblicato nel nostro paese prima dalla Phoenix e
poi ristampato in Urania. Vincitore della prima edizione del Philip K.
Dick Award, Software è il primo romanzo di una tetralogia che comprende
anche Wetware (1988), Freeware (1997) e Realware (2000). In
questo romanzo, Rucker ridisegna il classico concetto di robot, di
asimoviana memoria. La storia ha per protagonista, Cobb Anderson, il
creatore dei Boppers, un nuovo tipo di robot dotati di una specie di
"selezione artificiale", grazie alla quale si sono evoluti e non
obbediscono più alle leggi asimoviane, ma sono dotati di autocoscienza,
tanto da creare una propria realtà sociale sulla Luna, ribellarsi contro
gli umani e compiere una lotta di classe contro questi. I
bopper - che stanno cercando di interfacciarsi con gli esseri umani per
dare così vita ai meatbop – propongono al loro creatore un nuovo stadio
evolutivo: riversando cioè la sua personalità, i ricordi e i pensieri
(il software) in un costrutto robotico (hardware) tramite un’operazione
di uploading, così da sancire il definitivo processo di ibridazione tra
umano e artificiale. Il
tema della ricerca dell’immortalità s’intreccia con l’esigenza che
l’autore sembra essersi posto: raccontare dei robot con una visione
opposta a quella di stampo asimoviana. Non più leggi che guidano le
scelte dei robot, ma la propria (auto)coscienza, l’essere in qualche
modo parte dell’universo. Nel
1984 ottiene un altro successo con Su e giù per lo spazio-tempo (Master
of Space and Time, Urania 1030, 1986), ma va anche ricordato Le
formiche nel computer (The Hacker and the Ants, 1994),
pubblicato in Italia nel 1996 da Fanucci Editore. Rucker, come abbiamo
già detto, è uno scienziato e in questo senso è anche uno straordinario
divulgatore scientifico. A Rucker abbiamo rivolto alcune domande in merito allo stato di salute della fantascienza, della robotica e dei suoi futuri progetti… Sei
considerato tra i fondatori del Cyberpunk, insieme a William Gibson ed a
Bruce Sterling. A venti anni dalla nascita del movimento, quali tracce,
secondo te, ha lasciato dentro e fuori dalla fantascienza? Lo
stile oscuro e brillante di molte pellicole noir
di Hollywood, da Blade Runner a Terminator fino a Matrix,
potrebbe sembrare derivato dalla sensibilità del Cyberpunk. Un soggetto
caro al Cyberpunk era la fusione fra gli uomini e le macchine, una
tematica presente in tutte queste pellicole. Eravamo, se vuoi, dei
canarini nella miniera di carbone che inalavano i primi vapori della
rapida robotizzazione dell'umanità.
* Si ringrazia Anna Matrullo per la traduzione dall'inglese
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