All’inizio del secolo scorso, siamo
più o meno nel suo secondo decennio, alcuni studiosi di
psicologia e fisiologia cominciarono a produrre una serie di studi
volti alla definizione di un concetto fondamentale per la comprensione
dell’uomo. Si parla del concetto di comportamento, e di
quello correlato di apprendimento. Il fatto curioso è che
questi studiosi prendevano in esame non l’essere umano, pur
cercando risposte per questi. Prendevano in esame, in prima battuta, il
comportamento animale. Erano topi e cani a decidere
dell’uomo. Il primo di questi strani studiosi fu Ivan
Petrovič Pavlov. Egli si rivolse ad un pubblico canino, inibendo o
agevolando quelli che saranno poi definiti riflessi condizionati ad un
cane attraverso il suono di un campanellino. La storia è
questa: il fisiologo (Pavlov) suonava una campanella appena prima della
somministrazione del cibo all’animale, e questo avveniva per
diverse volte, fin quando l’inconsapevole quadrupede non
gocciolava festoso dalla lingua ogni volta che sentiva uno
scampanellio, indipendentemente dalla successiva somministrazione di
cibo. Edward Lee Thorndike, invece, poco tempo più
tardi, elaborò un giochino ancora più
sofisticato: era solito mettere un topolino all’interno di un
labirinto e osservarne il comportamento. In sostanza riuscì
a desumere dai suoi esperimenti che la cavia era in grado di rendersi
conto della destra e della sinistra, dunque di risolvere
l’intrico artificiale del labirinto, solo se ad ogni buona
riuscita casuale (o tenace) veniva associata una ricompensa,
generalmente un cibo saporito. Ne venne fuori la famosa legge
dell’effetto, che Edward Thorndike ed i suoi colleghi
comportamentisti allargarono per validità anche al
comportamento umano. Ci si soffermi adesso su quest’ultimo
esperimento. Il topolino sarebbe in grado di rendersi conto del proprio
ambiente, del labirinto nella fattispecie, in presenza di una cospicua
ricompensa. Altrimenti il topolino avrebbe affidato al caso la
soluzione alla sua morbida prigionia. Tuttavia si disse, discutendone
successivamente nella aule di psicologia, che tale legge postulata da
Thorndike non poteva in alcun modo essere allargata all’uomo,
in quanto quest’ultimo non segue il rigido schema che alla
stimolazione giustappone una risposta sempre uguale, in quanto in esso
(si perdoni la neutralità grammaticale affidata
all’essere umano) vigono una miriade di processi che
intervengono testardamente nel tragitto non così tanto
lineare che esiste tra lo stimolo e la risposta. E se invece
non fosse veramente così? Se invece l’essere umano
non subisse tutti questi processi che lo fanno un essere francamente
più complesso del topolino? Sarebbe un ragionamento fatto
per assurdo. Ma spesso, quando le cose non sono così chiare
come dovrebbero, il ragionamento per assurdo è uno degli
strumenti maggiormente fertili per un’analisi dei fatti.
Quantomeno è affascinante. Ovviamente lo stesso vale per le
cose che sì sono chiare, ma che forse sarebbe meglio se
talvolta venissero messe in discussione, e forse questo è il
nostro caso. Si postuli allora
un’assurdità: l’essere umano
è come un topo, riesce a risolvere i problemi solo se messo
davanti ad una ricompensa (tutto sta nel decidere di questa ricompensa,
ma a questo si arriverà più sotto).
Così come il topolino di Thorndike aveva per sé
un luogo problematico, il labirinto all’interno del quale si
muoveva, c’è bisogno di rintracciare un luogo
problematico anche per quel che riguarda l’uomo. Diciamo che
tale luogo è nient’altro che l’ambiente
stesso all’interno del quale risiede l’essere
umano. L’ambiente tutto, la Terra, il mondo, che dir si
voglia. Certo che, per quanto improbabile, questo accostamento trova la
sua ragion d’essere nell’assurdità
postulata poco sopra, dunque non ci si preoccupi, non subito,
dell’aderenza di quest’accostamento alla
realtà.
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