È proprio la battaglia fra queste differenti forze tensive,
che stropicciano le voci e i ritmi che si allontanano per ritrovarsi
mescolati nel continuum sonoro del disco, che serve a creare
l’evento-album, The Quick and the Dead
come performance e come stile compostivo, firmato “DJ Spooky
vs Scanner” che, al pari di una cerimonia fra MCs, pur avendo
l’apparenza di uno scontro a due, è in
realtà una battaglia fra ventriloqui e quindi fra eserciti
di suoni. Come ogni suono cita un’altra voce (la telefonata
rubata, il remix), così la performance dà corpo
ad un flusso energetico comunicativo continuo, nel momento in cui
ripete altre voci attraverso i ‘nuovi’ corpi che si
creano, differenziano e compongono nell’evento stesso: DJ
Spooky e Scanner. All’ascolto, infatti, The Quick
and the Dead, “il vivo ed il morto”, si
presenta come una serie di passaggi che estendono Spooky in Scanner e
viceversa. Nell’album, la relazione fra assenze-presenze
(passate e future) conduce di volta in volta ad intravedere/ascoltare
storie, nomi, luoghi. Per questo, The Quick and the Dead
è una serie di intervalli fantasmatici. Si
intra-vedono/ascoltano Rimbaud e Miller, assenti e presenti, con le
loro storie personali e le loro tradizioni culturali, le
città e i rituali della vita urbana, nell’opera di
Scanner e Spooky e nei possibili sviluppi futuri dei loro stili. Il
remix mescola le une alle altre nel flusso energetico della
performance, che rivolge la sua doppia faccia tanto al passato quanto
al futuro. Il presente stesso è il fantasma e il fantasma
è flusso: spettro energetico, invisibile e reale, che
oscilla (come l’onda di una frequenza audio) fra probabili
passati e (im)possibili futuri. Sono, infatti, invisibili fantasmi di
eventi passati (perturbanti ritorni) e allo stesso tempo fantasmi di
future revisioni (“precursori oscuri”, Deleuze,
1968), quelli in cui il disco sembra scomporsi ad ogni istante.
Perché si afferrino, occorre un nuovo modo di percepire. Come
ascoltare, altrimenti, i 108 secondi della traccia Dialogic?
Uno scalpitìo di suoni, contrappuntato dalla ripetizione
periodica di una pulsazione, apparentemente lontana, forse un segnale
telefonico di attesa. Un brevissimo rombo, e lo scalpitìo
rallenta e si scioglie in due secondi di suono di piatti, il cui
riverberarsi precede l’arrivo di una voce elettronicamente
alterata. “Hi-Hi”; o forse
“Eye”, o forse ancora
“I”…e ‘Oh’, dice la
voce; ma non è detto che parli inglese, ed è
difficile comprendere, perché la voce è qui un
suono e, come una molla tesa e poi rilasciata, si ripiega su se stessa
creando un’eco su un’altra frequenza. Sopraggiunge
un suono graffiante, poi ancora una vibrazione che varia di
intensità e di nuovo lo scalpitìo e la
pulsazione, attraversati da un’onda sonora di riverbero
veloce ed intensa: sinistro sospiro di un fantasma che passa di
traverso allo scalpitìo e alla pulsazione regolare. Altre
voci, che si rincorrono. Fra esse, ancora quella che sembra dire
“Hi”. Poi un’impercettibile transizione,
un piccolo battito sintetizzato e si è nel rumore bianco: il
rumore del passaggio fra le frequenze, misto a cimbali, graffi,
rimbalzi metallici e riverberi che, ora più intensi, ora
meno intensi, entrano ed escono dalla musica. Ancora voci e rumore
bianco, in mezzo a cui passa il riverbero, l’intervallo fra
le cui entrate e le cui uscite diventa sempre più breve: il
suono si fa incalzante, disturbato, le voci sempre l’una a
toccare l’eco dell’altra. Senza alcuno stacco, Dialogic
termina, confluendo nella successiva, Channel Float.
Questa descrizione è necessariamente parziale. Nel
raccontare l’ascolto di un simile brano, padroneggiare il
vocabolario tradizionale della teoria musicale non è di
nessun aiuto. Non si potrebbe comunque parlare di melodie, di toni, di
modi. Ed è soltanto per esempio, e per necessità,
che si potrà parlare di uno scalpitìo, un rombo,
una voce, un sospiro,… Tuttavia, le note di DJ
Spooky per l’uscita dell’album spingono chi ascolta
verso una precisa situazione d’ascolto, indicando un setting
per l’evento: “floating above the city”,
“galleggiando sulla città” (Paul D.
Miller, 2000). Il paesaggio sonoro evocato è quindi quello
di una città, sulla quale si galleggia in sospensione. Dialogic,
in effetti, al pari dell’intero album, ad un ascolto attento
fa pensare fortemente ad una città. Ciononostante, nel disco
mancano quei segni che fanno tradizionalmente pensare ad un ambiente
cittadino, come clacson di autovetture, trilli di telefoni, voci di
passanti, rombi di motori,… La città di Scanner e
Spooky, insomma, non si può leggere o interpretare.
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