MUSICHE DA SPIAGGIA E ALTRE SOUND FICTION di Gennaro Fucile |
“Credo nelle mie ossessioni, nella bellezza degli scontri d’auto, nella pace delle foreste sommerse, negli orgasmi delle spiagge deserte, nell’eleganza dei cimiteri di automobili, nel mistero dei parcheggi multipiano, nella poesia degli hotel abbandonati... Credo nella gentilezza del bisturi, nella geometria senza limiti dello schermo cinematografico, nell’universo nascosto nei supermarket, nella solitudine del sole, nella loquacità dei pianeti, nella nostra ripetitività, nell’inesistenza dell’universo e nella noia dell’atomo… … Credo nella luce emessa dai televisori nelle vetrine dei grandi magazzini, nell’intuito messianico delle griglie del radiatore delle automobili esposte, nell’eleganza delle macchie d’olio sulle gondole dei 747 parcheggiati sulle piste catramate dell’aeroporto… … Credo nell’ansia, nella psicosi, nella disperazione” (Ballard, 2008). Questioni che con attrezzi sonori variegati vengono raccontati dalla cultura industrial enfatizzandone un’affinità cercata o involontaria anche iconograficamente. Un buon esempio in tal senso arriva da Die Form, sigla dietro la quale sin dal 1977 si cela Philippe Fichot poi affiancato dalla cantante e modella Eliane P. nella realizzazione di un elettro-pop malato, anzi malsano (uno dei primi lavori si intitola Some Experiences with Shock) e accompagnato da artwork sviluppati sul tema dell’erotismo, della morte, del sadomaso e più in generale esponendo corpi feriti, cicatrici, cadaveri e altre finezze del genere, insomma: The Atrocity Exhibition. Sono però soprattutto i già citati Cranioclast e Mo Boma a fare da snodo, perché fanno del citazionismo dichiarato e al tempo stesso tracciano due linee guida, due strade in parte parallele in parte coincidenti e in altra misura divergenti della scena elettronica degli ultimi trent’anni. Da un lato la cultura industrial, che sceglie di esprimersi con il rumore o di fare del noise l’unica fonte sonora impiegata. È quell’area del disastro per dirla proprio con Ballard, che ha come baricentro Metal Machine Music di Lou Reed, uscito nel 1975, autentico crash tra altoporlanti in feedback, inno alla distorsione, sinfonia del rumore che vantava involontarie nobili origini futuriste e che irrompeva per la prima volta nella musica rock. Un lavoro che ha ispirato centinaia e centinaia di manipolatori del suono, alcuni geniali e moltissimi dimenticabili. Su questo fronte si muovono le claustrofobiche atmosfere di Cranioclast e le tempeste soniche di Merzbow. Su questo fronte si era mosso anche Ballard: “Amplificata centomila volte, la divisione delle cellule animali rumoreggia come un mucchio di travi e lamiere d’acciaio fatte a pezzi. Sembra un incidente automobilistico al rallentatore, secondo la sua definizione. D’altro canto la divisione delle cellule vegetali è un poema elettronico, tutto accordi sommessi e note gorgoglianti” (Amplificazione, Ballard, 2003). | ||
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