George Walker Bush, quarantatreesimo presidente degli Stati
Uniti, eletto per ben due volte – la prima per una decisione
della Corte Suprema che votò a suo favore nella disputa
contro il favorito Al Gore, la seconda con un buon margine di vittoria
sull’eroe del Vietnam John Kerry – verrà
ricordato soprattutto per aver scatenato due sanguinosi conflitti, uno
in Afghanistan, l’altro in Iraq (entrambi tuttora in corso),
finalizzati a combattere un’idealistica crociata contro il
terrore globale che probabilmente non avrà mai fine. Ma le
motivazioni dichiarate di queste due guerre meritano
un’attenta analisi endoscopica dell’America di oggi
per essere comprese appieno, e per mettere in evidenza il
sottofondo culturale, oltre che gli eventuali interessi reali in ballo,
di cui si è potuta nutrire la politica del presidente. Punto
fondamentale per comprendere le scelte politiche estere
dell’Amministrazione Bush è innanzitutto la
concezione che gli Stati Uniti hanno delle altre nazioni, la cosiddetta
“pax americana”, che si basa su una suddivisione
radicale, semplice e manichea, arcaica e mitica, tra amici e nemici. Chalmers
Johnson, nel suo ultimo libro1, propone un suggestivo confronto. Egli
esamina, in maniera limpida ed acuta, gli straordinari paragoni tra
l’impero romano e quello americano. Entrambi, spiega
l’autore, nascono come repubbliche democratiche, ma poi
trascendono in dittature. La prima, arcaica, ovviamente più
dura, la seconda costituzionale. L’America quindi,
come Roma, considera necessario espandere i suoi domini con campagne
militari sempre più sanguinose, utili anche a difendere i
propri confini, e considera pure i suoi alleati alla stregua di
provincie sottomesse, e non nazioni sue pari; mantenendo tra
l’altro, in quei luoghi, delle guarnigioni per presidiarle.
Insomma una vera e propria politica di militarizzazione a livello
globale, e oltre. E questa è la politica. Veniamo
ora al presidente teologo: George W. Bush.
Per molti egli è il tipico figlio di
papà a cui la vita ha regalato ogni cosa, compresi
l’evitare, seppur parzialmente, il servizio militare, la sua
scadente carriera di petroliere, fino al duplice incarico di
governatore del Texas (dove sotto i suoi mandati vi fu il
più alto tasso di pene capitali), terminando con la vittoria
alle elezioni presidenziali del 2000 e del 2004. Certo
la famiglia ha avuto un peso determinante nella vita di George W.,
almeno fino all’11 settembre 2001. Piuttosto che ritornare
sulle tante teorie dietrologiche sui fatti di quel giorno, è
preferibile invece soffermarsi sull’effetto che questo evento
epocale ha avuto non solo sull’America, ma anche sul suo
timido presidente, che fino ad allora trascorreva molto del suo tempo
libero ad inseguire armadilli nel suo ranch di Crawford in
Texas.
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