Il
referente
della narrazione è
il “net-user specifico”, se così
possiamo definirlo ovvero colui che
frequenta intenzionalmente quel particolare sito. Al centro della
narrazione vi è sì la biografia della persona
scomparsa, ma riletta
alla luce del suo impegno per una particolare attività, del
suo
interesse specifico o della sua professione. Le
esperienze sono
racconti particolari connessi proprio alla perdita e
all’elaborazione
del lutto. In questi casi si verifica la messa in comune di questo
particolare vissuto traumatico attraverso la narrazione in rete del
proprio dolore e soprattutto delle vicende che hanno riguardato la
perdita. In questo caso, chi racconta è anche il
protagonista della
narrazione e attraverso il racconto di sé mantiene e
condivide il
ricordo dell’altro. Si tratta quasi sempre di narrazioni
“aperte”, in
fieri, che procedono di pari passo alle fasi
dell’elaborazione del
lutto. La forma scelta per la propria narrazione è la
più varia: a
seconda dell’urgenza emotiva che
necessita di prendere forma,
si assiste all’alternanza della narrazione organizzata e
ordinata, con
quella più frammentaria e impulsiva, fino ad arrivare alla
“messa in
poesia” dei propri vissuti. Le commemorazioni
rappresentano il
gruppo più complesso, perché, a differenza dei
precedenti, sono
difficilmente catalogabili rispetto ai criteri individuati –
soggetto,
oggetto e referente della narrazione – dato che possono
assumere forme
e modi differenti. Ciò che caratterizza questa
tipologia di ricordi
è la spontaneità, se così possiamo
definirla, rispetto al contesto e
rispetto all’avvenimento particolare che ne determina la
costituzione. I
pochi casi che abbiamo individuato sono caratterizzati dal fatto che
l’autore di un particolare spazio della rete scompare
improvvisamente e
il suo ambiente virtuale diventa il luogo entro cui le persone che lo
conoscevano si “incontrano” virtualmente e
“scambiano” ricordi, memorie
e vissuti condivisi con il defunto. A nostro avviso
è possibile
accostare questi particolari casi ai luoghi fisici della memoria e
della commemorazione. Questi siti, infatti, nati per
tutt’altri scopi,
divengono, a seguito della morte del loro autore e grazie alle
attenzioni dei frequentatori, luoghi per custodire il ricordo e
commemorare la persona scomparsa soprattutto in determinati momenti:
compleanni, anniversari o date significative che univano il defunto
all’autore del commento. La sostanziale
differenza è che se nel
luogo fisico si tende lentamente a perdere la
“memoria”
dell’accadimento che viene ricordato, la storia di quel
particolare
episodio, trasformandosi spesso in un ricordo del ricordo, nel caso
della rete si ha la possibilità di tenere traccia di quanto
è accaduto
e dell’esatta successione temporale dei frammenti di storia
data dai
post. Proponiamo qui una provocazione interpretativa per
proporre
una lettura trasversale di un fenomeno che, a nostro avviso,
è
destinato a crescere nel tempo: condividere la narrazione, propria o
altrui, di carattere strettamente biografico o relativa a una perdita
importante nella propria vita, non è altro che una
“pratica digitale”,
un’azione condivisa, che, nelle forme e nei modi che abbiamo
descritto,
presenta delle ricorsività di struttura, di ambienti, di
modalità
partecipative – meno di linguaggi condivisi. Queste
azioni compiute
individualmente – nell’intimità
circoscritta del proprio monitor –
hanno però un risvolto collettivo: sono espressione di una
partecipazione al ricordo della persona scomparsa, rappresentano una
modalità di preservare e onorare la memoria di chi non
c’è più. Alla
luce di queste considerazioni riteniamo che nelle forme digitali di
ricordi condivisi si possano intravedere i prodromi di una
ritualità
nuova che attende solo di essere legittimata. Dietro
all’urgenza
narrativa di lasciare un messaggio digitale si potrebbe nascondere il
bisogno antropologico di “fermare” in una traccia
virtuale il proprio
“essere nel mondo”, poiché:
Raccontare
storie significa occuparsi
del tempo, e esperire la nostra vita come tempo ha a che vedere col
fatto che la nostra vita ha un termine, e che la vita dei nostri amici
ne ha pure uno. L'angoscia di fronte a questo dover finire
può essere
tenuta a bada (...). Ciò che però non scompare
è la tristezza per
questa finitudine (...) la tendenza degli uomini alla tristezza li fa
diventare narratori di storie6
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