[ conversazioni ]
Gillo Dorfles, un flâneur della contemporaneità di Antonello Tolve |
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È un fatto che io invece
reputo fondamentale perché nella fruizione e comprensione
dell’opera d’arte il dilemma tra novità
e facilità sia appunto fondamentale per la comprensione. Una
cosa che mi pare fondamentale ripeto, ma che in fondo non è
stata sottolineata. Né presa più in
considerazione dalle varie critiche che ho avuto di questo mio libro Simbolo
Comunicazione Consumo.
Prima accennavo al fatto che ero stato poco contento del riscontro che aveva avuto l’Intervallo perduto. Ecco, quando questo libro è stato tradotto in francese ha avuto un suo effetto, tant’è vero che la Sorbonne ha dedicato un seminario a questo libro, L’intervallo perduto. Un seminario dove intervennero non solo persone dell’estetica ma anche dell’informazione. In Italia è decisamente il libro, per conto mio, passato più o meno, inosservato. Purtroppo succede. Succede molto spesso. Anche per una ragione: nei trequarti degli studiosi italiani noi troviamo citati ad ogni pagina Jean Baudrillard, Jean-François Lyotard, Edgar Morin, giustissimamente ma molto spesso non vediamo citati dei nostri autori altrettanto importanti: un Galvano Della Volpe chi lo cita? O chi cita un Enzo Paci? Molti dei nostri migliori saggisti vengono completamente dimenticati. Trimarco parla ancora di un lavoro, “il lavoro dell’artista” messo da parte per essere protetto. Parla di una “vocazione a fare pittura” “che è, insieme, ‘cosa mentale’, secondo il detto di Leonardo, ma anche sapere della mano”. E ripenso anche a quello che lei dice in un’intervista rilasciata – nel ’90 – a Lea Vergine. |
E precisamente che, se avesse “dovuto scegliere un mestiere anziché una professione”, senza dubbio, avrebbe fatto “il falegname”. Ecco: quanta importanza dà alla manualità e dunque al lato tecnico del processo che porta all’opera d’arte?
Io presto molta importanza a questo problema fattuale
e anche diciamo pure manuale persino nell’opera
d’arte. Proprio oggi in cui abbiamo i nuovi mezzi che ci
permettono di creare dal niente, e col niente, ossia senza nessun
intervento diretto, credo che sia importante un recupero di questa
presenza della traccia umana nell’opera d’arte.
Questo non significa screditare i nuovi mezzi comunicativi, per esempio
attraverso il computer possiamo creare delle opere grafiche che non si
potevano creare prima. Quindi è ovvio che ogni nuova tecnica
permette nuovi tipi di creazioni però credo che
l’intervento diretto dell’uomo sia che si serva del
suo corpo, della sua mano, sia che si serva dei mezzi, è
fondamentale.
Un’ultima domanda. Molti studiosi e giornalisti le hanno avanzato domande su questa sua “vocazione” pittorica; un percorso parallelo ma distante rispetto a quello critico. Perché questa separazione netta?
Credo che sia un minimo necessario. Credo che le due cose
siano distinte. Io non pretendo di saper criticare la mia arte per cui
dipingendo abbandono la mia veste di critico. D’altro canto,
criticando l’opera altrui, io devo disfarmi completamente da
quelle che sono le mie preferenze e tendenze pittoriche
perché non potrei giudicare in maniera obbiettiva. Certo,
non è mai possibile essere completamente obbiettivi
però io credo di essere riuscito a vedere sempre il lato
positivo dell’artista che studiavo o criticavo.
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