[ conversazioni ]
Gillo Dorfles, un flâneur della contemporaneità di Antonello Tolve |
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Professore, quanta importanza può avere oggi lo “spirito comunitario”, l’alleanza, l’idea di gruppo di lavoro che animava, ad esempio, il Bauhaus? Dopo il Bauhaus che ha avuto l’importanza che
sappiamo direi che questo concetto di scuola, anzi, di alta scuola
delle arti, è stato molto meno importante. Oggi abbiamo una
decadenza delle Accademie e invece abbiamo una maggior coerenza dei
Politecnici. Per cui credo che quel tentativo di unificazione di
tecnica e arte, che è stata in fondo alla base del Bauhaus,
oggi sia meno necessaria. Ossia credo che l’arte sia di nuovo
più svincolata da questa necessità tecnologica e
scientifica. D’altro canto abbiamo tutti i nuovi mezzi a
disposizione dell’uomo, tipo elettronici, internet, computer,
video eccetera, che non hanno più bisogno di avere quella
iniziazione che era indispensabile all’epoca del Bauhaus. Il
bambino, ad esempio, manovra il computer ancor prima
d’imparare a leggere; e quindi è una cosa talmente
radicata nella personalità odierna che non è
più qualcosa di estraneo com’era
all’epoca del Bauhaus.
Da un punto di vista più strettamente filosofico il suo pensiero analizza la cultura come Weltanschauung cui coadiuvano fattori allegorici, simbolici, fantastici, mitici. Dopo Simbolo comunicazione consumo (1962), Nuovi Riti Nuovi Miti (1965), L’estetica del mito (1967), reputa ancora oggi, forte, nella nostra società la sfera magica?
Sì. Questi argomenti mi hanno molto interessato. E
credo che ancora oggi il pensiero magico abbia un’importanza
proprio direi addirittura sociale. Naturalmente è molto
pericoloso dare molta importanza agli aspetti puramente scandalistici
oppure falsamente esoterici; questo direi che vada scartato. Ma il
fatto che alla base dell’attività artistica ci sia
questa specie di inconscio collettivo, se così possiamo
chiamarlo, credo che sia molto importante. Insomma il mito anche oggi
deve essere alla base di molta creazione.
Ha detto che L’intervallo perduto (1980) è stato il libro che le ha dato maggiormente soddisfazione. Anche se si aspettava una maggiore divulgazione. Ora, l’intervallo è da lei inteso non solo come fase intervallare di tutto il suo discorso sull’arte, sulla produzione artistica e sulla critica d’arte, ma anche come simbolo di totalità d’un pensiero legato a delle dominanti necessarie. D’altronde l’intervallo è importante per una giusta pausa riflessiva. Sappiamo che, in un certo qual modo, abbiamo perso quell’intervallo necessario: pertanto dove siamo diretti, secondo lei, al tempo d’oggi? Dov’è diretta l’arte, e dove la critica d’arte? E quale potrebbe essere la novità, «la situazione di novità» in grado di garantire appunto il “nuovo”? |
Mi fa piacere che abbia sottolineato questo libro. Per fortuna è stato ristampato. Io tengo molto a questo libro e, anzi ho intenzione di pubblicare alcuni altri saggi dove cercherò di sviluppare questa questione del rumore. Il rumore non soltanto nel senso del traffico, ma nel senso appunto di quello che ci impedisce la comunicazione anche da un punto di vista della teoria dell’informazione. Rumore è l’opposto del messaggio. Mi pare che proprio una delle basi negative della nostra epoca, sia un’obliterazione comunicativa dovuta alla mancanza della pausa e dell’intervallo. Per cui siamo sopraffatti dal rumore. Angelo Trimarco dedica una parte d’un suo recente libro, L’arte e l’abitare (2001), al suo percorso critico, soffermando l’attenzione su alcuni termini del suo vocabolario teorico. Trimarco avvisa, precisamente, che nel suo avanzare nel campo della critica “fra le altre, alcune parole si fanno largo: consumo, comunicazione […], kitsch, conformismo, feticcio, fatti e fattoidi”. Di quest’ultimo termine dice: «(fattoide è una bella invenzione linguistica, non c’è che dire)”. E continua ancora scrivendo che (conviene citare per esteso) “ci sono ancora altri termini” nel vocabolario di Dorfles che meritano attenzione: artificio, entropia, asimmetria. E ancora Barocco. Da questo spoglio, rapido e frettoloso, non scarterei neppure preferenza. Meglio se usata al plurale: preferenze. Appunto, preferenze critiche. In conclusione non si dovrebbe dimenticare il termine intervallo. Perché intervallo è snodo cruciale per le arti e per la critica”.
Le andrebbe di parlare un po’ della sua
terminologia?
Di quei neologismi utilizzati per dispiegare alcuni pensieri?
Mi fa piacere che abbia individuato questa caratteristica che
praticamente nessuno ha mai messo in evidenza.
Personalmente ho dato sempre molta importanza ai titoli dei miei libri appunto Artificio e Natura, Simbolo Comunicazione Consumo. Nel titolo c’era già tutto. Questo, ad esempio, per Simbolo Comunicazione Consumo è indubbio. Questa che io chiamavo trinità dei nostri tempi era già tutto quello che conteneva il libro. Lo stesso per il fatto “proaieretico”, cioè la preferenzialità; anche questo mi pareva una cosa molto importante perché era legato, in parte, alla teoria dell’informazione ma anche legato a quei concetti humeiani della novità e della facilità, la facility e la novelty, un altro problema che mi ha sempre molto interessato e che non ho mai capito perché sia stato così poco sottolineato. |
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