L’anima nell’epoca della sua appagabilità tecnica

 

di Gennaro Fucile



Una serie di personaggi spuntano e spariscono inneffabili in L’accademia dei sogni[1] di William Gibson. Chi sono? Tutte celebrità: Starbucks, Prada, Armani, E-Bay, Michelin, Pilates, Vuitton. Marche, insegne, aziende. Al centro dell’Olimpo, poi, l’iBook della Apple. Non è tutto, con ostinazione Gibson indica una considerevole serie di prodotti, precisandone la provenienza, quasi a dare una certificazione di filiera, come per i Doc, i Dop, ecc. Quel tale prodotto è giapponese, quell’altro è tedesco e così via. È questo iperrealismo che inquieta nel romanzo, il ritrovare in un contenitore di fiction (il romanzo di fantascienza) il paesaggio ormai naturale in cui siamo immersi, fatto di soggetti forti: i brand. Narratori a loro volta, che ci propongono periodicamente nuovi episodi delle loro gesta. Un lancio di prodotto riprende la serie da dove si era interrotta. Un processo incessante.

L’ossessione del nuovo a tutti i costi che assedia la nostra vita quotidiana è una patologia reale e le novità effettivamente immesse sul mercato possiedono una dimensione narrativa tale da poter considerare i prodotti di marca come delle finzioni e le marche come i personaggi principali di queste micronarrazioni, reali eredi dei grandi discorsi articolati fino alla prima metà del Novecento. Il panegirico dedicato da un pur illustre studioso come Giampaolo Fabris in Valore e valori della marca[2], scritto a quattro mani con Laura Minestroni, scopre involontariamente molte carte riguardo all’ideologia di marca (eloquente l’enfasi di cui è intriso il saggio). Qualche sample per credere:

“La marca è un addensato di segni e significati. Possiede una straordinaria attitudine a creare mondi”.

“Siamo di fronte, evidentemente, ad un congegno davvero potente, capace di muovere e commuovere”.

“La marca … appartiene allo statuto del racconto. La sua è una vocazione a narrare”.

“Una marca… racconta quasi sempre una storia avvincente. O, se si preferisce, una lunga metafora, un articolato racconto con un forte contenuto metaforico”.

“Tutte le marche leggendarie hanno costruito le proprie strategie attorno a delle storie, delle narrazioni”.

Se la marca trae linfa vitale dalla sua dimensione narrativa il passaggio successivo dovrà essere: a quali strutture narrative ricorre? Fabris rimanda a Vladimir Ja. Propp riguardo al racconto pubblicitario, ma la marca non è solo pubblicità e le strutture narrative azionate oltrepassano la fiaba. Inoltre, al di là della citazione occasionale, non è certo nei dintorni di Samuel Beckett o José Lezama Lima che dobbiamo frugare. Parliamo di prodotti di massa, pensati per un pubblico di massa, anche se il più possibile segmentati per target. Ogni volta che nasce un nuovo prodotto si ripropongono, inevitabilmente, le coppie codice/violazione e ripetizione/innovazione, familiare/ignoto, ordine/disordine, ovvero ci si affida alla struttura consolidata della narrazione seriale. L’elica più o meno è questa:

- un eroe senza tempo (la marca);

- un nemico (il problema da risolvere);

- un’avventura (le traversie inevitabili);

- delle tecno/magie bianche al servizio del bene (la ricerca e sviluppo);

- delle tecno/magie nere al servizio del male (le condizioni della vita quotidiana che generano e alimentano il problema);

- le indagini che aiutano a snidare il nemico (le ricerche di mercato, i focus group etc.);

- la bella di turno (erotismo in immagini e parole);

- una frase identificativa dell’eroe (il claim);

- capi d’abbigliamento e colori e forme ricorrenti (il packaging, il logo);

- eventualmente un tema musicale (un jingle).

 


[1] William Gibson, L’accademia dei sogni, Mondadori, Milano 2005

[2] Giampaolo Fabris e Laura Minestroni, Valore e valori della marca, Franco Angeli, Milano 2004


 

    (1)  [2] [3]