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Tu robot, io consumatore
Gli uomini pensano agli automi
sin dai tempi degli antichi egizi, immaginando e costruendo macchine
capaci di stupire, intrattenere e servire. Servire come scopo secondario,
in origine, poiché l’accezione di macchina per lavorare in sostituzione
degli uomini Un nuovo prodotto Sony aggiorna
il sogno, anche se il massimo del risultato lo ottiene sul piano del
marketing, esibendo una tecnologia stratosferica, pubblicizzata su tutto
il pianeta. Lui, Qrio, il piccolo robot messo
a punto dalla Sony, ha sì diretto la Nona di Beethoven, ma ha ancora lo
status di giocattolo, al massimo di creatura tanto artificiale quanto
innocua. Sarà per questo che il Machin Perception Laboratory
dell’Università della California l’ho ha introdotto in una classe di
bambini di età compresa tra i due e i dieci anni. A fargli compagnia c’è
un altro robot, Rubi, messo a punto dalla stessa università. A scuola
d’umanità. Un burattino “pensante”, ma se l’evoluzione
immaginaria della specie è progredita da Pinocchio agli androidi di Blade
Runner, la tecnologia non tiene il passo solo in apparenza. In realtà, è
il mercato ancora tutto da creare. Il recente film Io Robot racconta
qualcosa in proposito, sulla difficoltà di lanciare un nuovo prodotto
prima che il precedente esaurisca del tutto il suo ciclo di vita. Il futuro del verbo vedere
Tema: il controllo. Molti gli
svolgimenti, in ambito scientifico, letterario e cinematografico. Guardare
a vista un uomo o un oggetto può essere di grande utilità, o un’ottima
premessa per edificare una società paranoide. Evoluzione in parallelo di un
mondo fornito di maggiore efficienza, sicurezza e benessere, ma anche più
esposto ai rischi di un uso spregiudicato dei nuovi strumenti regalati dal
progresso. Dalla sorveglianza scientifica
del detenuto, nel Panopticom [3], messo a punto dal filosofo utilitarista
inglese Jeremy Bentham, agli inizi dell’Ottocento, al 1984 di
George
Orwell [4], dalla schedatura alla
telesorveglianza, dai pedinamenti alla
vigilanza satellitare, un’ombra accompagna il progresso scientifico e
tecnologico: la possibilità, da parte di pochi, di conoscere ogni
movimento/intenzione dei molti. Bentham scriveva:“Forse può essere
utile conoscere, tra i particolari che finora avete visto, quali siano i
punti essenziali del progetto. Tutta la sua essenza consiste nella
posizione centrale dell’ispettore, unita a tutti quei dispositivi
conosciuti ed efficaci per permettere di vedere senza essere visti.”.
L’identificazione in radiofrequenza dei prodotti (Rfid) è un passo
avanti anche verso questo lato oscuro della civiltà occidentale (Quaderni
d’altri tempi ne ha parlato nel numero scorso, all’interno dello
speciale dedicato a Jules Verne in “Girovagando tra i mondi di Verne
e Farmer” e successivamente il magazine di La Repubblica, XL, ha
ospitato un intervento di Bruce Sterling sull’Rfid). Uno sguardo ai mondi alternativi
della fiction, specie se fantascientifica e di pessima fattura, può
risultare più che utile. In un brutto, proprio brutto film di
fantascienza del 1992, La Fortezza (con Christopher Lambert), si può
visionare un futuro ancora più brutto del film. La trama è
dimenticabile, come in tutti i B movie (altrimenti detti filmacci); basterà
ricordare che racconta di un super carcere costruito sulla falsariga dei
danteschi gironi infernali e che gli ospiti “ospitano” nel loro corpo
dei fibrillatori gastrici, microchip impiantati nello stomaco con lo scopo
di sorvegliare e punire. Un’infallibile tracciabilità.
[2] Isaac Asimov, Io Robot, Urania Collezione n. 1, Mondadori, Milano 2003 [3]
Jeremy Bentham, Panopticom,
ovvero la casa d’ispezione, Marsilio [4] George Orwell, 1984 (Nineteen Eigthy-Four), Mondadori, Milano 1973 | |