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The lunatic is on the
grass
The lunatic is on the
grass
…The lunatic is in my head
The lunatic is in my
head
… And if your head explodes with dark forbodings too
I’ll see you on the dark side of the moon.
R. Waters, Brain Damage
… sarà al corrente di quell’idea
secondo
la quale non saremmo mai realmente
atterrati sulla Luna, vero?
… Non esiste nessuna Luna.
Non ci sono né pianeti né stelle.
Tutti si mettono a discettare se siamo arrivati
lassù o no, e così perdono di vista la realtà.
M. Marshall, Eredità di sangue
Morte della fantascienza?
E se veramente
non fossimo mai sbarcati sulla Luna, come sembra sostenere il personaggio di
Marshall?
Se si
trattasse di un colossale inganno, di una simulazione
ad uso propagandistico, orchestrata da USA e TV?
Ma no, non è
vero, si tratta al massimo di una ricorrente leggenda metropolitana, come quella
che sostiene che il Paul McCartney che abbiamo visto e sentito suonare per anni
non sia quello “originale” ma un sosia.
Perché
naturalmente – possiamo esserne sufficientemente certi – la conquista della
Luna è davvero avvenuta, anche se si
è esaurita subito in sé stessa.[1]
La spesa, alla fin fine, non sembrò valere l’impresa.
E allora la
domanda diventa: “Perché questa storia continua a circolare, e spesso viene
citata con toni compiaciuti e saccenti?”
Probabilmente
perché condivide la natura inverificabile, e in qualche modo sacrale delle
leggende urbane – oltre che il piacere connesso all’idea che la nazione più
forte del mondo abbia fallito: nell’esplorazione spaziale e nel tentativo di truffare il pianeta.
In effetti, la
forza profonda delle leggende metropolitane è proprio nella circostanza di andare
incontro ai desideri – a volte etici, a volte morbosi – di coloro che le ascoltano
e le diffondono, e al vago senso di soprannaturale che spesso trasmettono: per
le vicende che raccontano, per la loro indeterminazione.
In questo
caso, appunto, il ridimensionamento della potenza degli USA, una ulteriore
prova degli inganni mediatici che architettano, ma – credo – prima di tutto la
conferma dell’inviolabilità del nostro satellite, che manterrebbe così, nell’immaginario,
la sua natura ambigua, soprannaturale, a cavallo fra la certezza scientifica
della sua esistenza materiale, e la sua effettiva intangibilità. A cavallo fra Heimlich e Unheimlich. Della natura della Luna non abbiamo esperienza
concreta, ma solo una conoscenza “per sentito dire”.
Sappiamo dai
manuali scientifici e dai libri di scuola che non ha atmosfera, che è un corpo
celeste simile alla Terra, che è fatta di rocce simili a quelle che ogni giorno
calpestiamo. Ma non avendone mai percorso la superficie, non ne abbiamo
conoscenza diretta.
Possiamo
anche, nel nostro inconscio, dubitarne, e conservare dentro di noi questa scintilla
del sacro, che faccia da custode della capacità di incanto del mondo.
Perché, a
dispetto delle conseguenze del processo di secolarizzazione che la modernità ha
portato con
sé, il bisogno di sacro pare non essersi sopito, ed emerge
periodicamente.
Ci inventiamo
continuamente modi per assicurarne la sopravvivenza, magari non nelle forme
classiche e istituzionalizzate – la religione nel mondo occidentale pare sempre
più in crisi, nonostante i tentativi neo/teocon variamente confezionati – ma in
forme nuove, non a caso spesso imperniate su eventi e/o testimonial della modernità e della cultura di massa.
Come Elvis Presley, che periodicamente viene visto vivo e vegeto da qualche ammiratore (ne
propone un riflesso della forza di questa mania Stephen King in Cose preziose[2]).
O John Kennedy, di cui lo stesso Marshall, sempre per bocca del suo personaggio,
propone un destino alternativo, con tanto di accurate spiegazioni (piuttosto
deliranti). E il Presidente ucciso a Dallas già era stato eletto a icona della
modernità da James G. Ballard, in un famoso quanto geniale e irriverente
racconto, e da James Ellroy in uno dei suoi romanzi.[3]
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