Anzi, a pensarci bene, la
Luna e il film partecipano della stessa natura: possiamo guardare, ma
non toccare, né tanto meno calcarne i paesaggi e i territori. Come
nei sogni: reali e non reali, contemporaneamente (Albano, pag. 14). Con
una differenza sostanziale, naturalmente: sappiamo che alle spalle del
cinema c’è una realtà materiale, che viene costruita artificialmente,
ma che sullo schermo cinematografico passano immagini prive di
profondità, di spessore, di materialità, immagini virtuali. Della Luna
sappiamo che, anche se non possiamo toccarla, esiste davvero, lì nello
spazio, a 300.000 chilometri dal nostro punto di osservazione, e che è
un globo, come la terra, con una sua gravità, una sua composizione
chimica, una sua consistenza. Ma lo sappiamo per sentito dire.
Nessuno di noi c’è mai stato. Il nostro è un atto di fede – laico, se
vogliamo, ma di fede. Ma questo è vero per molte delle porzioni di
realtà che conosciamo. Perché le veniamo a conoscere attraverso i
media: la televisione, la stampa, internet. E gli assegniamo senza
pensarci neanche un forte statuto di verità. La nostra è una realtà
sempre più mediata dai mezzi di comunicazione. E questo è vero
anche per la Luna. Anzi, a voler essere conseguenti, dobbiamo
riconoscere che lo sbarco sul nostro satellite ha ratificato
l’unificazione del nostro globo dal punto di vista dei media. La
diretta dell’evento fu seguita in tutto il mondo, con emozione e
sgomento, quasi fosse un nuovo millennio, unendo sincreticamente, per
una volta, sfera del razionale e sfera del sacro – anzi, sembrò aprire
una nuova era, quasi a definire una apocalisse, una fine del tempo (Thompson).
E sigillò il trionfo della modernizzazione – della potenza del
progresso tecnologico – e della secolarizzazione – dell’ineluttabilità
della verità scientifica e del rigore del calcolo razionale. E poteva
succedere solo se l’avvenimento avesse riguardato un corpo celeste altro
dalla Terra. La fine della tradizione, del sacro, del passato. Della
Storia, da un certo punto di vista: da quel momento in poi si entrava
nel futuro dalla porta principale, quella delle stelle. Un
avvenimento paradigmatico, nella terminologia di Daniel Dayan ed Elihu
Katz (pagg. 31-32), che incorpora le tre tipologie di fatti
(“competizioni”, “conquiste”, “incoronazioni”) che meritano la
definizione di “evento mediale”, fatti cioè che vedono la confluenza
degli interessi e dell’attenzione di tre attori: gli organizzatori, i
broadcaster, il pubblico. Nel caso dello sbarco sul nostro satellite,
se ne realizzano in sequenza tutte e tre le versioni. La competizione:
la rivalità tra Usa e Urss nella conquista del cosmo; la conquista: lo
sbarco degli americani sulla Luna; l’incoronazione: il loro ritorno
trionfale. E l’avventura dell’equipaggio dell’Apollo 11 viene
fissata per sempre nella storia del mondo. O almeno così apparve
allora, e ancora per un po’. Perché, a pensarci bene, oggi il lustro di
quell’impresa appare piuttosto appannato. Un fatto normale, del
passato, forse addirittura un passo più lungo della gamba. Tant’è vero
che poi non c’è stato un vero seguito. L’uomo è andato sulla Luna, ma
poi non ci si è stabilito. Non è successo quello che la narrativa di
Jules Verne e poi degli scrittori e dei lettori di fantascienza e le
previsioni di tanti scienziati e visionari, come Camille Flammarion, o
Konstantin Tsiolkowski avevano sperato. |