Tutto ciò porta gli autori a
interrogare i lettori circa la possibilità/inevitabilità di limiti
etici nell’amministrazione della forza da parte di chi ne detiene in
abbondanza, con chiari riferimenti all’attualità, e infatti non è un
caso che il nome del supergruppo sottolinei il tema dell’autorità implicando quello di autoritarismo. In buona sostanza The Authority
è un salotto filosofico sul valore ontologico del supereroe, e da un
punto di vista “interno” (il supereroe e le sue verosimili strategie di
comportamento all’interno del proprio mondo fittizio), e da un punto di
vista “esterno” (cosa significa, oggi, leggere storie imperniate su
persone dotate di poteri mitologici che risolvono i problemi del mondo
con la forza e tramutando così questo mondo in qualcosa d’altro
rispetto alla realtà in cui viviamo). È un fumetto che comunica
messaggi sottili, coniugandoli però con le esigenze del mercato
editoriale dei comics supereroici. Questa serie porta in ultima
analisi i lettori a interrogarsi sui limiti e le trappole ideologiche
che i supereroi nascondono sotto la loro patina di colori e azione
spettacolare. Molti tratti tipici dei fumetti “bellici” (il
razzismo; il culto della violenza come affermazione di valore; il culto
della virilità; il mito della santità della guerra, agone per uomini
forti che ivi dimostrano la loro forza; l’anticomunismo forsennato; il
culto del superuomo come distributore di giustizia al di sopra delle
leggi banali degli uomini deboli; cfr. Eco 1971), stemperati in
intensità, risaltano anche in molti personaggi avventurosi – sia
italiani sia americani – nelle loro incarnazioni classiche, quelle in
voga dalla fine degli anni Trenta all’inizio degli anni Sessanta,
decennio in cui tali tendenze cominciano a ridursi, nell’ambito
supereroico, grazie all’introduzione degli eroi tormentati della
Marvel. Soprattutto, sono i tratti che ci restituiscono l’identikit del Comico, il vigilante del cosmo di Watchmen che Moore ha ideato per ricordare ai lettori quale sia il vero volto del supereroe tradizionale, un po’ à la Superman e un po’ à la Capitan America. Questo coagulo di caratteristiche tuttavia è presente, in vari dosaggi, anche in altri protagonisti di Watchmen,
come lo psicopatico Rorschach e Ozymandias, e ha ragione Orion Kidder
(2004) nello scrivere che “porzioni” di supereroismo canonico sono
distribuite in tutti i personaggi di Watchmen. I vigilanti di Moore sono format
all’interno dei quali si ravvisa la vasta gamma dei superomismi a
fumetti. In tal modo è possibile accorgersi di come, estrapolati dalle
loro narrazioni, le caratteristiche di questi eroi appaiano improbabili
e ideologicamente opinabili: perché vi si avverte una minacciosa
impronta destrorsa (sull’ideologia di destra statunitense cfr.
Altemeyer 1988) la quale suggerisce che l’intera impalcatura del
supereroismo a fumetti – a parere di Moore – si reggerebbe su premesse
“politiche” aberranti.
Moore, appassionato di narrativa avventurosa ma anche di letteratura
colta, da giovane crebbe a contatto con letture in cui emergeva
l’autoritarismo della società inglese, che sotto l’anacronistico
moralismo pseudovittoriano nascondeva un passato oscuro e di soprusi. A
ciò si aggiunga lo sconcerto che la politica nazionale gli procurò
durante i tardi anni Settanta e i primi anni Ottanta, periodo di
gestazione e creazione di V for Vendetta prima e di Watchmen dopo. In
un’intervista l’autore fornisce una sua definizione del “fascismo
populistico”: “i fascisti sono persone che lavorano nelle fabbriche,
probabilmente sono gentili con i loro bambini. Sono gente qualunque.
Sono come chiunque altro eccetto per il fatto che sono fascisti3”. È un
modo pittoresco di definire i fascisti della porta accanto, ma è anche
uno degli indizi che chiariscono il fatto che Watchmen è un’opera-mondo (Moretti 1994) in cui viene narrato un ambiente coerente e credibile. Quando Bradford W. Wright ha asserito che Watchmen
è un fumetto in cui si rappresenta “cosa sarebbero i
supereroi se davvero esistessero” (Wright 2001, pag. 271, t.d.a.), Kidder (2004) ha puntualizzato, non a torto, che Watchmen piuttosto delinea “come sarebbe il mondo
se i supereroi davvero esistessero”. In sostanza, si chiede Moore, se
nella realtà – o in un mondo realisticamente progettato, narrato e
rappresentato – nascesse in alcuni individui l’impeto irrefrenabile di
diventare vigilanti in costume, agendo al di fuori della legge anche se
con l’intento di coadiuvarla, e se la società permettesse la loro
esistenza e le loro azioni sic et simpliciter, quello che mondo
sarebbe? La risposta che Moore si dà e dà ai lettori è: un mondo
decisamente orientato a destra – ciò che si può facilmente constatare
nella lettura dell’opera. Ma Moore fra le righe fornisce una risposta
ben più fastidiosa per il lettore, in particolare per quello
statunitense: egli afferma che questo mondo sarebbe orientato a destra
poiché gli Stati Uniti (e, aggiunge Moore puntutamente, la Gran
Bretagna) sono per lo più destrorsi, e i supereroi sono un prodotto
culturale statunitense/anglosassone. Il sillogismo è crudele e
tagliente nella sua elementarità, e in buona parte veritiero, che lo si
voglia o meno attribuire a Moore. Il quale peraltro in varie pagine del
libro mette in scena una serie di pubblicazioni, immaginate ad hoc,
che pongono in evidenza l’orientamento ideologico su cui si vuole
focalizzare l’attenzione. Si tratta dei fumetti violenti e macabri di
argomento piratesco letti da un bambino che in varie sequenze staziona
nei pressi di un’edicola, e della rivista politica The New Frontiersman, non a caso acquistata dal vigilante Rorschach, che insieme al Comico rappresenta l’estrema right wing dei Watchmen. A
questo punto, se è vero che i supereroi rispecchiano un’ideologia, e
poiché essi sono nati negli Usa, occorre provare a domandarsi non solo
perché i supereroi siano nati proprio in quel paese, ma anche quale
tipo di ideologia, inevitabilmente americana, alberghi nel concetto di
“supereroe”. |