I
Watchmen di Moore riprendono tutto
l’armamentario
ideologico, tecnologico e discorsivo prima appartenuto agli eroi in
costume dall’Uomo Mascherato
in poi e ne propongono ai lettori un esploso anatomico, rendendo conto
di come la presunta evoluzione del genere in quei
cinquant’anni si
risolva in niente di più che periodici restyling e in una
maggiore
proprietà linguistico-narrativa degli autori, di generazione
in
generazione, ma in una immutabilità o quantomeno
“coerenza” ideologica. È
quindi dallo scoccare degli anni Ottanta e per tutti gli anni Novanta
che Frank Miller negli USA, ma soprattutto Alan Moore, Neil Gaiman,
Grant Morrison, Pete Milligan, Warren Ellis pubblicano –
spesso proprio
per editori statunitensi – una quantità di
fumetti, nel solco della
produzione seriale, che si distinguono per la loro carica eversiva.
Questa tuttavia non è sempre giocata su idee esplicitamente
politiche
bensì, più spesso, sulla volontà di
indicare con chiarezza e vis
polemica i limiti di un genere, il fumetto d’azione e la sua
corposa
variante supereroica, nelle sue incarnazioni popolari, che fino a quel
momento erano state additate come puerili, semplicistiche,
adolescenziali (bocciature analoghe a quelle subite anche da altre
forme espressive allora non ancora del tutto legittimate, per esempio
la letteratura di fantascienza). Per quanto riguarda nello specifico il
fumetto di supereroi, escono dalla penna di Moore le opere manifesto
più importanti in tal senso, Marvelman (Miracleman
negli Usa) e Watchmen, seguite dalla miniserie 1963
e da un ciclo del personaggio Supreme.
L’industria del fumetto popolare, tuttavia, non riesce ad
assorbire
compiutamente il messaggio e ancora una volta avviene una sorta di
vigorosa controreazione, nella pubblicazione di supereroi –
è il caso
della casa editrice Image negli Usa, ma non solo – ancora
più
superficiali, violenti e autoritari, quasi sempre privi di contenuti
maturi2 e
scimmiottanti, per
paradosso, le tematiche fondative e
innovative di opere come Watchmen. In tal senso,
l’operazione
culturale effettuata da Moore e dagli altri autori che condividono la
sua stessa visione sembra avere avuto, fino a tempi recenti, effetti
limitati sulle routine produttive del fumetto
supereroico. La
fine degli anni Novanta e l’inizio del nuovo secolo sono un
periodo di
svolta. Oltre alla guida fornita da grandi autori e idealmente
capeggiata da Moore, nasce un nuovo tipo di fumetto supereroico in cui
avviene una singolare commistione fra i cliché
superomistici (superpoteri, base segreta, gruppo vs.
individualità, buoni contro cattivi, alieni e scienziati
pazzi) e un
nuovo modo di intendere l’attività supereroica nel
mondo. È questo il
caso di due serie, The Authority e Planetary,
provenienti da scrittori britannici (Warren Ellis e Mark Millar), ma
pubblicate a partire dall’editore statunitense Dc. Qui i
protagonisti
hanno poteri analoghi o superiori a quelli di personaggi storici quali
il quasi onnipotente Superman, il superveloce Flash,
il poliziotto spaziale Lanterna Verde, la forzuta
amazzone Wonder Woman, il dio nordico Thor,
il mago arcano Dottor Strange
e altri; anzi sono basati, per caratteristiche psicologiche, costumi e
natura dei loro talenti, proprio sui prototipi del genere.
Ciò che
cambia è il loro atteggiamento verso la realtà in
cui si muovono.
Invece di essere tutori dell’ordine costituito, sono portati
a fondare,
deliberatamente o meno, un nuovo ordine mondiale cercando di attuare il
disarmo nucleare, di eliminare i problemi d’inquinamento, di
portare la
politica internazionale verso nuovi equilibri. Svolgono inoltre
poderose azioni antiterrorismo su scala planetaria, agendo con una
violenza e uno sprezzo della vita umana che solo in parte sono
giustificati dal fatto che gli oggetti della loro furia sono criminali
di guerra, eserciti di terroristi e politici corrotti.
Le azioni machiavelliche di questi semidèi non hanno freni e
in
questo senso gli autori pungolano i lettori in vari modi. Innanzitutto
mostrano un modo più verosimile in cui si comporterebbe un
superuomo, o
un gruppo di superuomini, se esistessero nella nostra
realtà: anche se
animato da nobili propositi chiunque potrebbe cadere
nell’eccesso di
usare la propria forza in modo sproporzionato, rispettando
l’adagio
secondo cui se il potere corrompe, il potere assoluto corrompe in modo
assoluto. The Authority, in particolare, scardina
in modo
definitivo le leggi non scritte del fumetto supereroico più
consueto,
in cui l’eroe si muove in modo limitato e su scala locale: i
personaggi
di questa serie agiscono a livello transnazionale, fanno regime a
sé, e
non sono “burattini” di alcun regime, come, al
contrario, il Superman tratteggiato da Miller in The
Dark Knight Returns. Una storia, questa, in cui è
rappresentato, in un futuro prossimo, un Batman
invecchiato che torna in attività a causa
dell’accrescersi del crimine
nella sua città, Gotham. In questo fumetto viene evidenziato
anche il
ruolo del suo amico Superman, che
anziché essere un eroe super partes come
Batman
stesso, è una sorta di lacché del potere
costituito, e prende ordini
dal presidente degli Stati Uniti invece di ergersi a eroe planetario,
visti i suoi poteri quasi divini. |