Old Deuteronomy, sapiente e
benevolo capo, nominando il Jellicle Cat che ascenderà
all’Heavyside Layer e rinascerà a nuova vita,
sceglierà la ripudiata Grizabella, punita in passato
perché colpevole di aver abbandonato la tribù per
conoscere il resto del mondo, e costretta poi dagli altri felini a
sparire più volte nelle tenebre e a contemplare
nostalgicamente il ricordo del tempo felice. Lo stanco scintillio dei
lustrini, intravisto attraverso il mantello opaco e spelacchiato della
gatta zoppicante e reietta, insieme alle notturne
ombre blu e all’argentea luminosità lunare, regala
magia alle evocative note di Memory, di Trevor
Nunn, ispirate al già citato, malinconico testo eliotiano Rapsodia
su una notte di vento (pp. 303-307) e destinate a
riecheggiare ancora a lungo nell’immaginario sognante degli
amanti del musical. Sarà il vecchio copertone di
un’automobile abbandonata a sollevare The Glamour Cat,
sublime espressione della nostalgia della bellezza, verso il riscatto
conclusivo, la redenzione finale, che la ripagherà
della mortificante solitudine patita per essere caduta in disgrazia,
facendola assurgere a simbolo dell’uomo che mai
smetterà di esplorare e che, alla fine del suo andare,
ritornerà non invano al punto di partenza per poterlo
scoprire completamente. Il musical dimostra, con
disarmante innocenza, come la tecnica poetica del frammento costituisca
un suggestivo riflesso culturale di una civiltà ormai in
declino e dei suoi paesaggi in rovina, travolti dallo spietato vortice
del progresso e dall’efferata distruzione bellica. Questi
scenari sono affrescati grandiosamente da un’artista, che,
pur restando fortemente avvinto al senso storico della propria epoca,
consapevole – come egli stesso teorizza in Shakespeare
e lo stoicismo di Seneca (p. 698) – che solo il
grande poeta, nello scrivere se stesso, scrive il proprio tempo, tende,
nell’inquietudine dell’attesa, a proiettarsi verso
la sconfitta della finitudine, per riconoscere nelle caduche parvenze
mondane l’espressione fenomenica di una realtà
infinita e duratura. I versi cantati di The Moments
of Happiness suggeriscono inoltre che un’esperienza
trascorsa, rivista nel significato, non forgia una sola vita, ma quella
di molte generazioni, e ricordandoci, come fa l’Eliot di Tradizione
e talento individuale, che la tradizione, e non solo quella
poetica, non costituisce una mera eredità, ma si
conquista con immane fatica (p. 393), ci esortano a non distogliere lo
sguardo dai morti viventi, che, tra avanzi sudici e segatura pestata,
abitano le tormentate lande eliotiane, per veder vivere queste
creature, dibattute tra lo scontro bruciante col passato e la potenza
avvolgente del ricordo, tra i valori annichiliti e le eterne
verità, un tempo proiettato oltre la peregrina vita terrena.
È il tempo che sminuzza e decompone, che macera e
dissolve, che fluisce e distrugge, ma anche innegabilmente il tempo del
risanamento e della conoscenza, del superamento e del ritorno, che
disegnerà sì profili di morte, ma
diffonderà anche bisbigli d’immortalità
e continuerà dunque imperterrito a indurre l’uomo
a preservare venerando, a rifunzionalizzare oggetti e miti, a
ricostruire senso, a rielaborare interpretazioni, a ricostituire
l’infranto, o comunque a tentare pervicacemente di riuscire a
farlo.
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