Vita,
Bellezza – e come i fragili fiori dell’inverno
fiorisci
sola, chiusa in un mondo invecchiato aneli
all’alto, all’amore, al
sole, alla calda luce di
primavera: vi cerchi la giovinezza del mondo. Il
tuo sole, il tuo tempo migliore è
passato, e
nella notte gelida urlano gli uragani.
Friedrich
Hölderlin
L’incantevole
scenario della Reggia di Caserta, per
l’edizione del 2008 del Leuciana Festival, ha ospitato il
saluto definitivo alle scene di Cats, spettacolo
che, avendo riscosso uno straordinario successo, consacrato dal
pubblico internazionale, ha ineludibilmente segnato la storia del
musical. Replicato per ventun anni nel West End londinese e per
diciotto a Broadway, tradotto in una decina di lingue, lo show ha
ottenuto prestigiosi riconoscimenti e ha venduto milioni di copie delle
edizioni discografiche dei brani eseguiti dal cast sia inglese sia
americano. L’opera nacque quando il
compositore Andrew Lloyd Webber mise in musica Il libro dei
gatti tuttofare1, di Thomas Stearns Eliot, raccolta di poesie
per bambini sui gatti, dalla metrica irregolare e talvolta spigolosa,
molto simile a quella che caratterizzava le canzoni popolari
dell’epoca, tanto amate dal poeta. Fu messa in scena una
rappresentazione musicale in un concerto al Sydmonton Festival, nel
1980, ma il vero debutto dello spettacolo risale al 1981, quando Trevor
Nunn ne curò la regia e la coreografa Gillian Lynne
riuscì, con mirabile maestria, a trasformare un gruppo di
abilissimi ballerini cantanti, dalla tecnica agguerrita e dalle
spiccate capacità interpretative, in sinuosi gatti danzanti
sul palcoscenico del New London Theatre. La trama, suggerita da una
lettera inviata a Webber da Valerie Eliot, vedova del poeta,
contribuì ad ispirare l’intera, travolgente
partitura di questa favola musicale, rischiarata dal bagliore e
oscurata dalla gravità delle luci e delle ombre, reali e
metaforiche, evocate dal procedere della storia, articolata su melodie
che accompagnano anche testi inediti di Eliot. È
mezzanotte e i fari di un’automobile illuminano
improvvisamente una buia e silenziosa discarica, attraversata da
sfreccianti felini. È il cuore di una notte speciale, la
notte della danza annuale a cui la tribù dei Jellicle Cats
si accinge a partecipare per celebrare gioiosamente la propria
identità. I gatti irrompono sul palcoscenico per cantare le
proprie doti, si scatenano nel ballo, si mostrano, di scena in scena,
indolenti, dispettosi, burloni, sornioni, vanitosi, diffidenti, fieri,
tristi, sensuali, schiudendo così il ventaglio delle
molteplici sfumature delle umane caratteristiche, rappresentandone una
fedele imitazione e inducendo gli spettatori a riconoscere i propri
vizi, le proprie virtù, le proprie aspirazioni, il proprio
imperscrutabile destino, col suo intarsio perfetto, adombrato con
intensa sensibilità da Eliot, di memoria e
desiderio. L’esplosiva e coinvolgente
miscela di suoni e danze mette in scena le figurazioni archetipiche
della favola, attraverso il malvagio Macavity, battagliera incarnazione
del male, e il saggio Old Deuteronomy, vincente affermazione del bene,
arricchendole con speranzosi richiami alla magia, a quel sovrannaturale
fiabesco foriero di giustizia, rappresentato dai prodigi del gatto
Mistoffelees, esperto di giochi di prestigio. Proprio grazie
all’infingimento sarà possibile liberare il potere
benefico e smascherare l’inganno, il travestimento,
riprendendo così un tema costantemente presente in Eliot, il
disvelamento, che, in questo caso, allude a una demistificazione
ontologica e non meramente politica. Sarà dunque ristabilito
il pacifico ordine della tribù, nostalgica espressione del
senso, ormai smarrito, dell’appartenenza comunitaria, fondato
sul potere della tradizione, sulla forza dei vincoli di sangue e
sull’indissolubilità dei legami affettivi,
disperso dall’utilitaristica prepotenza, fredda e cinica,
della modernità aborrita dal poeta. Nel
musical sono fatti risuonare dunque, anche se con divertita
levità, tragici temi, intrecciando, proprio come accade
nell’opera eliotiana, la forma colloquiale a quella aulica,
il triviale all’aura, il luridume alla soavità, lo
squallore alla bellezza. L’inferno di dantesca memoria
descritto fedelmente da Eliot, che rivive nell’alienata
società industriale, traumatizzata dall’impetuosa
urbanizzazione, riappare nella scenografia dello show, ma le luccicanti
lamiere contorte, riutilizzate dagli animali antropomorfizzati, evocano
visioni fantastiche, giocando bizzarramente con la
drammaticità del discorso eliotiano e rendendo familiare e
domestica la spaesante vista offerta dal pattume della
civiltà.
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