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L’esposizione al contatto con esperienze inedite e il contagio con l’altro da sé rendono il limen il locus della contaminazione, riconcettualizzando il corpo umano, ridelineandolo come concetto-limite appartenente a sistemi di significato prima incompatibili (Balsamo, p. 172) e definendo la soggettività in rapporto non a ciò che essa è, ma a ciò che essa non è, al suo poter essere altrimenti, alla sua capacità di schiudersi e di aprirsi alla dimensione del possibile.
Il cyborg, vivendo
una condizione di non definita appartenenza, amplia continuamente le
frontiere di un’identità transitiva, non più unica, ma pluriforme, non
totale, ma incompleta, protesa verso aperture scavate da saperi situati,
collocati in un corpo “complesso, contraddittorio, strutturato e
strutturante” (Haraway, p. 120). La parzialità non è fine a se stessa,
ma è proiettata verso inattesi collegamenti: “il sé
Il palpitante e spaesante immaginario cronenberghiano, nel rappresentare processi reali e dinamiche strutturali, si offre alle cangianti decodifiche percettive dello spettatore, mutamenti di una già di per sé indefinita sensorialità. La fervida immaginazione di Cronenberg, concentrata sulle problematiche legate al repertorio di potenzialità gnoseologiche dischiuse dalla comunicazione visuale, si limita a suggerire sentieri ermeneutici attraverso l’intricato reticolo di meri significanti da decifrare. Lo spettatore vive, così, un’esperienza partecipativa alla messa in scena, chiamato, dopo lo sfarinamento di ogni certezza narrativa, a realizzare un intervento creativo nella costituzione dell’opera, che raggiunge compiutezza, anche se sempre transitoria, nei molteplici dispiegamenti interpretativi, indotti dalla fascinazione di criptiche pellicole. Se le immagini traumatizzanti sconvolgono gli schemi strutturati, scuotendo la passività del fruitore, costretto a svincolarsi dai convenzionali criteri ermeneutici, l’uniformità dello sguardo si sfaccetta in visioni prismatiche, mentre la completezza concettuale, ricusando l’unità e la finitezza tipica dei contenitori tradizionali, si frantuma nelle complesse trame articolate in una molteplicità di prospettive, costruite sulla dissoluzione dell’autorità narrativa centrale.
La manipolazione della superficie corporea, il costante scambio di parti organiche con parti sintetiche e la combinazione dell’oggettività del mondo fisico con l’illimitato senso di sconfinamento associato all’immaginazione ingenerano riscritture della forma culturale del corpo, direttamente connesse alla costituzione delle identità sociali (Tomas, pp. 114-115). Il sangue sparso nelle pellicole cronenberghiane segna sì una pratica di morte, ma anche un principio di vita, riconfermando il proprio valore simbolico, suggellando una dimensione collettiva, piuttosto che individuale, dell’identità, e riprendendo una ritualità tradizionale, che, nell’immaginario high-tech fa vivere il “nuovo corpo” come un terreno culturale del quale si prevede l’ineluttabilità, ma anche l’accanita efferatezza.
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