Il processo di mutazione prodotto dalla tecnologia
attraversa il corpus cinematografico di David Cronenberg, che produce
l’implosione della dicotomia tra naturale e artificiale, corporeo e mentale,
vitale e mortifero. Sui corpi dei personaggi cronenberghiani si imprimono i
segni inflitti dal sofferto rapporto tra frontiere tecno-comunicative e
trasformazioni antropologiche, sortendo la nascita della “nuova carne”, generata
dall’integrazione totale dell’uomo nel sistema dei media.
È possibile riconoscere la densità teorica dei film di
Cronenberg interpretando le svariate versioni dell’accoppiamento tra l’umano e
il macchinico, tra il vivente e l’inerte, perturbanti allegorie dell’impatto
della tecnologia sulla “evoluzione guidata” (Yehya, p. 13), che ingenera ignote
svolte nel nostro destino di cyborg.
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Il regista
David Cronenberg
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Il paesaggio mediatico si insinua non più solo nelle
dimore, attraverso i mezzi di comunicazione di massa, ma addirittura negli
individui, rendendo fluidi e permeabili i confini tra organico e inorganico (Caronia,
1994, p. XI), e trasformando il corpo umano in un’estensione dello schermo
televisivo, entrato a far parte della struttura cerebrale. In Videodrome,
film centrale dal punto di vista sia tematico sia stilistico, la videoparola
trionfa e si fa carne, mentre il segnale assassino Videodrome, che
trasmette scene di torture, mutilazioni, omicidi, genera formazioni neoplastiche
abnormi, producendo un organo capace di provocare videoallucinazioni nello
spettatore. Il processo di compenetrazione tra carne e macchina diventa così
totale da immergere direttamente l’individuo nel nuovo sistema di gioco di
realtà virtuale in eXistenZ, rielaborazione teorica delle soluzioni
iconografiche adottate dalla tecnoscienza applicata all’orizzonte comunicativo:
il game pod, ottenuto dalla fertilizzazione di uova di anfibio imbottite
di DNA sintetizzato, trova la sua alimentazione direttamente nel corpo umano a
cui è collegato attraverso una bioporta installata nella spina dorsale. Il
joystick, costituito in questa favola-incubo da fibre nervose, realizza
compiutamente il complesso circuito di feedback tra fotoni direzionati
dallo schermo verso gli organi visivi, neutroni circolanti nei corpi ed
elettroni fluttuanti attraverso il computer, designando “il rapporto tra
individuo e tecnologia come sublimazione corporale (estasi) della circolarità
piena e produttiva tra libertà di scelta e comando” (Abruzzese, p. 184).
Lo spazio “post-dimensionale” occupato dall’immagine video, “autentica scoria
del mezzo televisivo” (Fattori-Fucile, pp. 175-176), invade eXistenZ,
efficace metafora, dunque, dell’epocale svolta tecnologica segnata dal passaggio
dall’organismo cibernetico prodotto dall’intreccio di dispositivi artificiali e
tessuti naturali al cyborg immerso nello spazio matematizzato di descrizioni
digitali in memoria informatica. La trasformazione dell’umano ibridato segna la
transizione compiuta dalla tecnica, che non espleta più una funzione di mero
prolungamento sensoriale, per spingersi fino alla creazione di mondi virtuali,
sempre più strutturati e sofisticati, sul piano sia del funzionamento materiale
sia dell’immaginario.
Le inquietanti parabole del contaminato cinema
cronenberghiano richiamano questioni teoriche sollevate
dal magmatico media
landscape, perennemente in divenire, dominato da una pervasiva dimensione
iconica e configurato come un processo di perpetua
visualizzazione generalizzata, in cui gran parte della realtà sembra
identificarsi sempre più con le immagini prodotte (Wunenburger, pp. 362-363).
Le mortali perversioni amorose, l’orrifica sensualità,
le scabrose ossessioni trascinano lo spettatore nel gorgo vischioso di un’arte
visionaria, che rispecchia le metamorfosi visive sortite dal processo di
capillare diffusione eidetica, anche se le scene crude, raccontando il
corpo attraverso il sangue rappreso, le ferite aperte, le cicatrici disgustose,
vogliono accostarsi alla nuda verità molto più del reale in cui
siamo immersi e su cui si adagia il velo splendente di suggestioni estetiche
offerte da una cultura iperreale, disseminata in fantasmagoriche
virtualizzazioni.
La tecnica non riplasma solo la carne viva dei personaggi,
ma anche la psiche, che scioglie le spirali della propria patologia (Morelli, p.
55), radicandole in identità mutanti, individui
eslegi, eccentrici, outsider, abitanti di frontiera, aggrediti da una malattia,
che diventa punto di fusione tra il corpo e la mente (Alfano Miglietti, p. 23).
L’ispirazione distopica della science fiction cronenberghiana aleggia nelle
atmosfere livide e claustrofobiche di zone liminali, come le corsie ospedaliere
semivuote, sospese tra la vita e la morte, asettiche e silenziose, templi della
razionalità pronti ad accogliere corpi deturpati dall’intervento irrazionale
dell’uomo o martoriati dal connubio aberrante con il metallo di lamiere
squarciate, come quello celebrato in Crash.
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