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Le eccezioni sono blande e sporadiche:
i campi di concentramento sono tra gli antefatti della saga di X-Men – che nasce dai fumetti della
Marvel e approda al cinema con il mediocre film di Bryan Singer. L’antieroe
della saga, Magneto, ha subìto la mutazione destinata a conferirgli poteri
paranormali nel momento in cui Provo a chiedere a Marc, che ho
messo a parte di questi pensieri vaganti, se conosce qualche altro film che mi
possa essere sfuggito. Mi stupisce suggerendomi di rivedere in chiave
concentrazionaria Soylent Green di
Richard Fleischer, e si illumina quando gli faccio notare che l’edizione
italiana si intitola 2022: i sopravvissuti.
Per Marc, l’idea chiave del film – quella di uno spaventoso mondo futuro in cui
i cadaveri umani sono utilizzati per produrre cibo sintetico – richiama
lampantemente gli orrori nazisti. Sono
come forni crematori alla rovescia, assicura. Non a caso, mi fa ancora
notare, nel film il grande oppositore del nuovo mondo è l’anziano ebreo Solomon
Roth, interpretato da Edward G. Robinson. Perbacco, potrebbe aver ragione. Vien
quasi da pensare al celebre sproposito di Heidegger, l’amico dei nazisti che
intervistato dallo Spiegel molti anni dopo la guerra si arrischiò ad accostare
Auschwitz all’agricoltura meccanizzata. Ma questa tra Soylent Green e Auschwitz è una parentela ancora troppo blanda – e
Andrea, il mio amico conoscitore di Fleischer che ho consultato al mio ritorno
a Roma, esclude che potesse far parte della intentio
auctoris. A conti fatti, ho un solo
esempio convincente di fantascienza concentrazionaria: è Death’s Head Revisited, episodio della leggendaria serie televisiva
americana degli anni Cinquanta e Sessanta The
Twilight Zone, in Italia uscita come Ai
confini della realtà. Ciascun episodio di questa serie narra l’ingresso in
una dimensione parallela, in una zona crepuscolare sospesa tra realtà e
immaginazione. Nell’episodio in questione un ex gerarca nazista, il capitano
Lutze, fa ritorno a Dachau dopo anni vissuti in Sudamerica sotto falso nome, e
si decide a visitare il campo di concentramento dove ha servito il Terzo Reich
spadroneggiando su prigionieri inermi e innocenti: la sua intenzione è quella
di rievocare nostalgicamente i “bei tempi” del dominio assoluto. I cancelli del
Lager, però, si chiudono attorno a lui, e le anime di quanti ha messo a morte
si levano dalla polvere per processarlo; il loro verdetto suonerà beffardo: La sentenza unanime di questa corte è che da
questo momento tu diventerai pazzo. In esergo all’episodio, la voce fuori
campo sottolinea che un luogo come Dachau
non esiste solo in Baviera. Per la sua particolare natura deve trovarsi in una
delle aree popolate che stanno ai confini della realtà. In fondo, ce lo
avevano già detto David Rousset e Primo Levi, Robert Antelme e Piotr Rawicz. Mentre penso a tutto questo si è
fatta sera, la nostra guida si è congedata e ci ha lasciati a passeggiare per Birkenau, la “piana delle betulle”. Tra i resti di questo sito per metà
archeologico e per metà fantascientifico, sconfinato e silenziosissimo deposito
di “rovine dal futuro” che ricorda Pompei quanto Ormai siamo fuori dai cancelli,
si torna sul pullman come da una qualunque escursione o scampagnata, il
finestrino imperlato dalla pioggia confonde filo spinato, torrette e baracche
in una visione nebbiosa, illanguidita. Mi siede accanto un ortodosso in kippà,
un filosofo che insegna in Israele. Parliamo di tante cose, o forse di una
sola: di Margarete Susman e del suo libro su Giobbe, di quell’artista
israeliano che ha manipolato la voce di Hitler per farlo parlare in ebraico,
dei film italiani che hanno rappresentato il nazismo in chiave erotica. La
conversazione mi distoglie dalle impressioni della giornata, che d’altronde non
hanno avuto tempo per depositarsi in me. Quando torno, a sera, nella
foresteria dell’Università, mi trovo a chiedermi dove davvero sono stato durante il giorno; e se per caso anch’io,
varcato quel cancello, mi sono ritrovato per qualche ora in una delle aree popolate che stanno ai confini della realtà.
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