Turisti di scarto e non per caso | |
di Carmine Treanni | |
California, 1988. Nel deserto del Mojave atterra
un'enorme nave spaziale con 300mila profughi fuggiti dal pianeta Tencton
(caduto in mano a una dittatura che ha reso i suoi abitanti schiavi), senza
possibilità alcuna di tornare indietro. Gli alieni sono capaci di adattarsi
alla vita sulla Terra, e differiscono dagli umani sostanzialmente nel fatto di
avere la testa a forma d’uovo. Poiché costoro possono essere molto utili,
perché dotati di speciali qualità, vengono inseriti nelle grandi città, dove
sono però visti con disprezzo e diffidenza dagli umani. Bisogna tenerli e conviverci, dichiara il presidente
americano Ronald Reagan. Vogliono integrarsi e far carriera. Li chiamano
neoinseriti. Una notte, durante una rapina, il sergente di
polizia Matthew Sykes vede uccidere da alcuni neoinseriti, poi fuggiti, il suo
più caro amico e collega, e vuole scoprire cosa c'è dietro un colpo che non gli
sembra banale. Gli viene affiancato, suo malgrado, il primo detective
neoinserito assunto dalla polizia, Sam Francisco, perché pensa di poter così
più facilmente scoprire i colpevoli. L'uomo decide però di chiamare “George” il
nuovo compagno (per evitare buffi giochi di parole), e impara presto a
stimarlo, nonostante la diffidenza iniziale. È questa – in estrema sintesi - la trama del film Alien Nation,[1]
un
b-movie diretto da Graham Baker
con James Caan e Mandy Patinkin nel ruolo dei due protagonisti. Si tratta di un
film che non ha riscosso un gran successo, anche se ne è poi stato tratto anche
un serial televisivo. Seppur
deludente e privo di originalità dal punto di vista cinematografico – la
pellicola pesca a piene mani negli stereotipi sia del film di fantascienza sia
del police-drama – il film è
interessante per una serie di motivi di ordine più squisitamente sociologico: i
“neoinseriti” protagonisti della pellicola sono una metafora di quelli che il
sociologo Zygmunt Bauman ha definito “rifiuti umani”. Partiamo dall’inizio. Il film si apre con una gigantesca
astronave che invade il cielo della California. Il primo stereotipo
fantascientifico che viene in mente è quello dell’invasione aliena. Lo
spettatore ha davanti a sé un’immagine classica: un’astronave con a bordo degli
alieni. Eppure, ben presto scopriamo che in realtà non si tratta di
un’invasione in senso stretto – stile The
War of The Worlds di H.G. Wells – ma di un viaggio. Gli abitanti del
pianeta Tencton sono in realtà dei profughi, e nello specifico degli schiavi,
scappati da una società di tipo dittatoriale. Ciò che chiedono agli umani è
semplicemente asilo politico, la possibilità cioè di inserirsi nel nostro mondo
(o meglio nell’America reaganiana). Osservando questo rovescio del viaggio
cogliamo il senso del nostro tempo non più focalizzato sull’invasione del più
forte – l’alieno crudele e invincibile – ma sullo sbarco del più debole, degli
sconfitti. Precisiamo le cose: è in questo che sono assimilabili a
quelli che Bauman definisce “vite di scarto”. Secondo Bauman, infatti, la tarda modernità non produce solo
rifiuti intesi come oggetti che dopo il loro uso ed un certo tempo (spesso
brevissimo) diventano spazzatura, ma anche rifiuti umani, persone che escono
dal ciclo produttivo e diventano in qualche modo dei parassiti per la società,
persone che non sono ne produttori ne consumatori. E per questo rifiuti. Il sociologo, nel suo libro Vite di Scarto,[2]
individua tre tipologie di persone che nella modernità stanno soccombendo,
diventano di fatto rifiuti umani: la “Generazione X”, “i migranti per motivi
economici” e “i richiedenti asilo”. I primi rifiuti individuati sono i giovani nati negli anni
Settanta, la cosiddetta Generazione X. È l’esercito dei lavoratori precari,
coloro che hanno dovuto abbandonare per sempre la certezza del posto fisso e
fare dell’incertezza il leit motiv
della loro vita. Non si tratta, ovviamente, solo della flessibilità del mercato del lavoro con cui i giovani d’oggi si devono confrontare, ma anche delle conseguenze che da ciò ne derivano, come ad esempio la scelta (obbligatoria) di restare più a lungo nel nucleo della famiglia di provenienza o la scarsa possibilità di accedere ad un mutuo per l’acquisto di una casa.
[1] G. Baker, Alien Nation, USA, 1988.
[2] Z. Bauman, Vite
di scarto, Laterza, Roma-Bari, 2005.
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