|
|
E qui non posso più essere
d’accordo. Perché significa liquidare troppo in breve tutta la ricerca e la
pratica dei nuovi linguaggi della comunicazione, e quindi l’esperienza – prima
di loro – delle avanguardie storiche, oltre che non riconoscere il valore di
scrittori come Lehane, King, Ellroy, ma anche Dick – e, per estensione,
fumetto, cinema, molta musica contemporanea. Oltre alla ricerca e al lavoro
di studiosi come Benjamin, Morin, Baudrillard, il nostro Abruzzese, che hanno
ragionato proprio sui processi – culturali e non solo – che hanno accompagnato
lo sviluppo del ‘900 e ne hanno interpretato e rappresentato lo spirito: il
senso del conflitto, della trasformazione, del mutamento accelerato – e del
disorientamento che ha prodotto, e di cui sono testimoni anche i linguaggi e le
opere della cultura di massa.
Quando, inoltre, non è affatto
detto che le vendite di un certo bene – i libri nel nostro caso – siano
necessariamente un indice del loro consumo: la loro lettura. Diciamo piuttosto che è vero che
in precedenza si vendevano in proporzione più classici. Ma chi li comprava?
Quale quota della popolazione? E gli altri? Forse oggi il numero di lettori
dei classici è invariato. Ma gli altri almeno leggono! Vengono in mente le
parole di Umberto Eco, che sosteneva, a proposito della narrativa di massa, che
piuttosto che non leggere proprio, è meglio leggere fumetti e polizieschi… Il fatto è che – come succede
spesso con una parte almeno degli intellettuali che Eco definì “apocalittici” –
Scalfari fa l’errore di cercare di analizzare il tempo presente solo in base al
passato, e alle sue caratteristiche, senza considerare come i fenomeni sociali
siano intrecciati – e coerenti – fra loro. E proietta il rapporto che noi
adulti abbiamo (e spesso subiamo) con il mondo della tarda modernità e i suoi
aspetti con quello che intrattengono con esso le nuove generazioni. Mentre
invece c’è bisogno di collocarsi al di fuori del sistema di cui si fa parte per
poterlo osservare da fuori, e guardarlo nella sua totalità. Bisogna volare
alto, come aquile. L’esistenza – e la manutenzione,
o la costruzione – di una identità europea riguarda prima di tutto le nuove
generazioni, quelle che già vivono in una Europa in via di integrazione. Ma che
contemporaneamente vivono le tensioni indotte dalla globalizzazione, fenomeno
che investe linguaggi, merci, persone – culture, concezioni del mondo. E che
vivono immersi, ormai dalla nascita, a differenza di molti di noi, in una sfera
simbolica radicata nell’universo delle comunicazioni di massa. Che sono
socializzati a questa. Che fanno esperienza del mondo e dei suoi significati a
partire da questa.[16] È quindi
un problema in generale di formazione delle persone. Ma possiamo fare
formazione senza usare linguaggi condivisi? Possiamo permetterci di liquidare i
linguaggi dell’altro come … suoni e
immagini che impattano sulla persona che le riceve attraverso sensazioni
emotive senza trasformarsi in associazioni di idee e di pensieri? O
dobbiamo fare i conti con i nuovi linguaggi, e nutrire – insieme ai “classici”,
assolutamente – anche i prodotti della Modernità?[17] Nelle
scienze dell’educazione si usa spesso, per parlare di formazione, la metafora
dell’avventura[18].
Quindi del viaggio, perché implica sempre un cambiamento. Ma per poter
viaggiare ci si deve poter orientare. Guardare il mondo dall’alto, per avere un
orizzonte il più ampio possibile. Ed è qui che funzionano i racconti di
avventure e di viaggio – che implicano sempre anche un viaggio interiore – per
definizione senza dimensioni, attraverso gli spazi e i tempi della propria
esperienza e dei propri sogni. “Aquila della notte come le sue compagne vola alto, e ci fa viaggiare attraverso i mondi dell’avventura, che sono simbolicamente i mondi della formazione, intesa come affettività, razionalità emotività. Le galline rimangono a svolazzare nel loro cortile.”
[16]
Cfr. A.
Abruzzese, L’occhio di Joker,
Carocci, Roma, 2006; M. D’Ambrosio (a cura di), Media Corpi Saperi Per
un’estetica
della formazione, Angeli, Milano,
2006.
[17]
E
dell’attenzione che noi contemporanei dobbiamo a queste esperienze come
evoluzione della produzione estetica e della definizione del mondo in cui
viviamo. Cfr. almeno Balzola Monteverdi, Le
arti multimediali digitali, Garzanti, Milano,
[18]
R. Massa (a
cura di), Linee di fuga L’avventura nella
formazione umana,
|
|