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E dai suoi ormai sessant’anni di
vita, Tex ci mostra anche come il fumetto sia stato capace di seguire e
assumere, pur rimanendo nel naturalismo[8]
e nel realismo più conseguenti, l’evoluzione dei linguaggi audiovisuali[9] in
termini di sceneggiature, di montaggio, anche di tematiche. Dimostrando fra
l’altro una capacità sorprendente di tenere d’occhio l’attualità – culturale,
politica, sociale – senza mai forzare la mano e cadere nell’anacronismo,
nell’estemporaneità. Tipico delle grandi narrazioni, come nelle autobiografie
immaginarie Memorie di Adriano[10] o Bomarzo[11]. Più
che una cerniera, un giunto cardanico,
quindi fra l’immaginario collettivo, la cultura di massa, le loro materie, in
verticale e in orizzontale, in un processo dove precipitano culture, discorsi,
linguaggi, visioni del mondo, grazie alla sostanza – triviale per molti – di
cui è fatto il fumetto: inchiostri, carta, penna – e immaginazione narrativa.
Producendo Mito. E quindi raccogliendo e rilanciando valori eterni: amore,
morte, giustizia, fedeltà, amicizia. Gli stessi del grande cinema e della
grande letteratura che venendo dal passato hanno impregnato e raccontato La longevità di Tex dimostra –
credo – proprio questo: la sua capacità di essere dentro il processo di
mutamento che investe il sociale, e di non perdere colpi: conservando i vecchi
lettori, e conquistandone continuamente di nuovi. In questo forse meglio ancora
della science fiction, che – continuamente superata dal reale – ha dovuto
cambiare pelle molto più radicalmente – e non sempre c’è riuscita senza
sofferenza. Ma è anche un punto che ci
permette di riflettere su alcune questioni cruciali per il futuro della contemporaneità. Scrivevamo nell’Editoriale di
esordio di Quaderni: Esiste un intimo legame tra la materia che
vogliamo adoperare - la sf - e lo stato attuale delle merci, dei consumi e
delle tecnologie di cui è intriso il quotidiano. Ecco perché questa rivista
ri-parla di fantascienza, un fenomeno d’altri tempi (…) e per questo motivo è
una rivista in/attuale, perché quando si parla di sf si parla di letteratura (e
poi di fumetti, cinema e telefilm) che racconta d’altri tempi (...) Questo per
spiegare il nome della testata, Quaderni
d’altri tempi, dove con quaderni si rimanda ad altri luoghi di riflessione,
come i Quaderni rossi e i Quaderni piacentini.
In gioco è l’inattualità
dell’epoca in cui viviamo. Nel senso che se le società tradizionali furono
rivolte al passato e quella moderna al futuro, la tarda modernità ha invece
trasmesso un senso di perdita di prospettiva, di stagnazione in quel tempo
fermo, in quell’eterno presente definito dal tempo reale e dalla perdita del
senso del luogo, su cui riflettono i sociologi ormai da diversi anni[12]. Il
tempo del postmoderno, insomma, o del futuro presente segnato dai non-luoghi
delle reti informatiche e dei cellulari[13]. Un
tempo della mescolanza e dell’indistinzione. Il tempo – fra l’altro – della
maturità della “cultura di massa”. Ma ci sono anche altri modi per
essere inattuali. Di recente, l’attenzione degli intellettuali – stimolata nell’immediato dagli sviluppi dell’unificazione europea – si è concentrata sulla possibilità di definire e individuare le eventuali radici di una cultura europea comune. A partire dalla letteratura. In particolare dalla letteratura narrativa.
Ne ha scritto Eugenio Scalfari
su Esiste un’Europa della letteratura? (…) Esiste un canone identitario, una biblioteca condivisa in cui i lettori europei possano identificarsi…? E anticipa ai suoi lettori come
le risposte indichino opere che coinvolgono al cultura di molte generazioni di
europei fino ad arrivare alla nostra e a quella immediatamente successiva. Sin qui, nulla di contestabile,
anzi, molto di significativo: Mann, Joyce, Proust, Kafka sicuramente hanno
fatto la cultura della Modernità, non solo europea.
Ma poi, qualcosa sembra sfuggire
di mano al giornalista. Il testo continua infatti così: … Poi però è avvenuta una cesura. Direi una drammatica cesura: le
generazioni successive hanno rallentato la frequenza e la varietà delle loro
letture fino ad abbandonarle quasi completamente. L’apprendimento avviene ormai in misura quasi esclusiva attraverso
suoni e immagini che impattano sulla persona che le riceve attraverso
sensazioni emotive senza trasformarsi in associazioni di idee e di pensieri. Gli stessi “best sellers” che dominano il mercato librario e sui quali
si concentra la richiesta dei lettori residuali raccontano trame, rebus
polizieschi da svelare, ma si arrestano
dinanzi alla psicologia dei personaggi, alla loro complessità, all’atmosfera
dei luoghi.[15]
[8] Uso il termine come lo adopera Gino Frezza in, ad
esempio,
[9] Perché il fumetto – e su questo Sergio Brancato ha
pienamente ragione – appartiene alla famiglia
dell’audiovisivo, come il cinema e la televisione.
[10] M. Yourcenar, Memorie
di Adriano, Einaudi, Torino, 1963 (1951).
[11] M. Mujica Lainez, Bomarzo, Rizzoli, Milano, 1965 (1962).
[12] Cfr. almeno Meyrowitz, Oltre il senso del luogo, Baskerville, Bologna, 1993; A. Cavicchia
Scalamonti G. Pecchinenda, La memoria
consumata, Ipermedium, Napoli,
1996; J. Candau, La memoria e l’identità,
Ipermedium, Napoli, 2002.
[13]
Cfr. A. Fattori, Cronache del tempo veloce, in: “Quaderni d’Altri Tempi” n. 4,
primavera 2006, http://quadernisf.altervista.org/numero4/identita.htm, n. 6, autunno 2006,
http://quadernisf.altervista.org/numero6/cronache1.htm,
n. 7, inverno 2007,
http://quadernisf.altervista.org/numero7/cronache1.htm.
[14] E. Scalfari, Nei
grandi romanzi le radici d’Europa, “
[15] Corsivi miei. Mi scuso comunque per la lunga
citazione, ma volevo evitare fraintendimenti, e rendere perfettamente il pensiero di Scalfari.
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