Turisti di scarto e non per caso di Carmine Treanni

 

Ci sono anche coloro che vengono espulsi dal mercato del lavoro, spesso ad un’età che non consente più un rientro. Anche costoro, come i giovani della Generazione X, diventano reietti della società, società che invece di sostenere politiche di welfare che favoriscano la creazione di posti di lavoro, promuove la continua flessibilizzazione del mercato del lavoro. Il tutto giustificato nel nome della globalizzazione.

Il poco reddito offerto dalla flessibilità del mercato del lavoro, dunque, produce persone anche scarsamente motivate ai consumi e, come rileva Bauman: “Il bene primario della società dei consumatori sono i consumatori; i consumatori difettosi sono il suo passivo più irritante e costoso”. 

È ciò che accade – per tornare alla metafora del film Alien Nation – ai neoinseriti, i quali vengono sì inseriti, ma solo per essere sfruttati dall’economia dominante che nella pellicola di Baker è sostenuta dalla politica di Reagan. Un punto nodale per l’economia mondiale, se è vero che in America il processo di flessibilizzazione del lavoro ha trovato una rapida ascesa, contribuendo a creare altrettanto rapidamente rifiuti umani.

“Negli anni di Reagan la divaricazione tra gli alti e i bassi redditi si accentua e l'indice di povertà torna sui livelli del 1965, 15-20% della popolazione. Il numero di lavoratori temporanei e occasionali si raddoppia. Con i salari diminuiscono anche l'assistenza e le provvidenze sociali. Sono situazioni che rimangono nascoste nelle pieghe delle medie statistiche, ma con effetti avvertibili solo nel lungo periodo di cui la politica di Reagan non sembra preoccuparsi. Essa mira a creare le premesse per successi rapidi, incoraggia la tendenza ad approfittare dell'occasione favorevole e a impostare iniziative che assicurino profitti immediati secondo una filosofia che manca di progettualità, vive e si consuma nel presente e attende vantaggi rapidamente fruibili. Inevitabilmente questo clima incoraggerà la speculazione, diffonderà la febbre dell'arricchimento rapido e non mancherà di influire negativamente sul costume e sull'etica della classe manageriale e finanziaria dedita ad una finanza creativa che più che nuova ricchezza creerà nuovi ricchi”.[3]

Tra le persone improduttive, dei non-consumatori, dei rifiuti umani, sono presenti anche quelli che Bauman definisce come “i migranti per motivi economici”. Costoro sono, ancor prima della Generazione X, i primi ad aver attraversato il confine che segna lo spartiacque tra chi è “dentro” la società moderna e chi ne è “fuori”.

Scrive a tal proposito il sociologo:

“L’era moderna è stata fin dall’inizio un’epoca di grandi migrazioni. Masse di popolazione non ancora conteggiate e forse incalcolabili si spostarono da un capo all’altro del pianeta, lasciando i loro paesi natii che non offrivano possibilità di sopravvivenza, alla volta di terre che promettevano migliore fortuna. Gli itinerari più richiesti e prevalenti si modificarono con il passare del tempo, a seconda dello spostamento dei “punti caldi” della modernizzazione, ma nel complesso i migranti muovevano dalle regioni del pianeta “più sviluppate” (cioè dove era più intensa la modernizzazione in atto) verso quelle “sottosviluppate” (cioè non ancora sconvolte nel loro equilibrio socio-economico dall’impatto della modernizzazione)”[4].

Bauman coglie un paradosso storico: in passato i paesi cosiddetti in via di industrializzazione scaricavano la popolazione in esubero in quei territori sottopopolati e in cui la modernizzazione non era stata ancora avviata. Si eliminava così a monte qualsiasi problema di disequilibrio socio-economico che tale popolazione non produttiva poteva creare alle società avanzate. Ora che non esistono più aree “vergini” in cui poter scaricare i rifiuti umani, perché la modernizzazione è arrivata anche lì, si verifica un paradosso: i paesi che accoglievano i rifiuti umani sono ormai diventati moderni ed industrializzati e, in quanto tali, producono rifiuti umani che, a loro volta, si riversano di nuovo verso i primi paesi industrializzati. È un circolo vizioso figlio della globalizzazione.

Il concetto di sovrappopolazione viene così ribaltato dal sociologo inglese: la cosiddetta bomba demografica - spesso evocata dai governi dei paesi industrializzati a mo’ di spauracchio - che starebbe per esplodere nei paesi in via di sviluppo è in realtà già esplosa nei paesi moderni e tecnologicamente avanzati. La densità abitativa, ad esempio, è molto maggiore in Europa che in altri paesi in via di sviluppo e può essere sostenuta solo perché vengono importate risorse di ogni genere da altri paesi.

Scrive Bauman:

“I paesi ricchi possono permettersi un'alta densità demografica perché sono centri ad 'alta entropia', che attraggono risorse - in primo luogo fonti energetiche - dal resto del mondo, e in cambio restituiscono le scorie inquinanti e spesso tossiche della lavorazione industriale che esaurisce, annienta e distrugge una larga porzione delle riserve energetiche mondiali”[5].

 


[3] Giuseppe Mammarella, Liberal e conservatori – L’America da Nixon a Bush, Laterza, Roma –Bari 2004.

[4] Z. Bauman, cit.

[5] Ibidem.

 

    [1] (2) [3]