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Ad attendere e a guidare il neo turista c’è una nuova offerta: tour gastrononomici, tradizioni alimentari, riviste di viaggi, rubriche di viaggi, inserti dedicati ai viaggi, ristoranti e reparti nei punti di vendita dedicati all’etnico, musei dell’alimentazione, di un territorio o di un’azienda. L’immaginario collettivo relativo al viaggio e alla scoperta si è frammentato, non ha più dei punti cardinali, arbitrari ma solidi, ogni direzione è possibile, l’orientamento è dettato da due principi chiave del marketing moderno, la segmentazione e la complementarietà dell’offerta, il che in parole povere, vuol dire: ti vendo il coordinato pasta, pentola e pomodoro, te li presento adiacenti l’uno all’altro sugli scaffali – e la pasta se è il caso è nella versione per celiaci. Funziona così anche per il turismo. Non esiste più un medium privilegiato, il libro, il brano musicale, il film, ma combinazioni possibili, che incessantemente ridisegnano l’immaginario occidentale. Così tutti disegnano paesaggi in base a nuovi punti cardinali che sono ora alimentari, legati al ristoro e/o al benessere, garantiti da cibi/luoghi iperreali, come la dieta mediterranea ri-scoperta da uno studioso americano, il professor Ancel Keys, che scelse come sua residenza Pioppi nel Cilento, dove oggi sorge il “Museo Vivente della Dieta Mediterranea”. Keys ha riportato nel Mediterraneo l’immaginario occidentale, ha azzerato il giro iniziato con l’oltrepassamento delle colonne d’Ercole. Insomma, lì dove andiamo e qui dove torniamo, abbiamo sempre con noi qualcosa, un segno/senso che ci conduce lì, o ci riporta qui. Questa è la globalizzazione vista dalla prospettiva del tempo libero e di un minimo reddito garantito in Occidente. Così si ricomincia daccapo, con l’attrazione fatale dell’Oriente, non solo in testa ma anche nella pancia. Nel settembre del 1996 un gigantesco Buddha fa il suo ingresso all’interno di un ristorante parigino. Ambiente originale, sofisticato, una cucina si potrebbe dire fusion, tutta un mix di occidente ed oriente. Le serate sono animate da abili Dj che agitano e scuotono con maestria suoni da tutto il mondo. Selezionano il meglio e iniziano le pubblicazioni delle compilation intitolate come il ristorante: Buddha Bar. Un boom mondiale e frotte di imitatori. Il Buddha Bar è marca, ristorante, colonna sonora, ambiente rilassante e distintivo, un caso esemplare di non luogo, denso di assenze, un pieno di nulla, dove spesso transitiamo dove sempre più spesso immaginiamo di viaggiare di questi tempi. In questo scenario si naviga a vista, in un oceano di suoni, come recita un bel libro di David Toop, dove a fare da colonna sonora simbolica è qualcosa di prossimo al grado zero della musica: la Buddha Machine Soundbox, un piccolo soundsystem portatile, grande come una radiolina o un iPod, che riproduce in sequenza nove diversi loop, dai 2 ai 42 secondi di durata, da ascoltare sia nell'ambiente che in cuffia, uno dopo l'altro all'infinito. È realizzato a Pechino da due musicisti elettronici, Christian Virant e Zhang Jian (noti con la sigla FM3), che hanno mutuato lo schema da apparecchi simili nella forma, ma contenenti altrettanti loop meditativi prodotti per l'utilizzo durante la meditazione buddista. La Buddha Machine degli FM3, invece, contiene drones low-fi, distorsioni di ogni sorta e perfino rumore bianco, che, se lasciati suonare a lungo, o contemporaneamente da più macchine, producono dei tappeti sonori affascinanti – almeno questa è l’opinione di uno che se ne intende, Brian Eno, che ne ha comprati diversi. Non luoghi, non musica, c’è da smarrirsi, mai come oggi la condizione di un vero viaggiatore è metafora calzante della condizione umana dell’uomo occidentale e del paesaggio circostante monitorato da sofisticati strumenti di misurazione. Uomo occidentale in grado di orientarsi meglio che in passato, assistito e coccolato, zeppo di comfort, ma in affanno ogni volta che si pone alla ricerca di un senso, che si incammina sulla pista di un qualsiasi significato. Non importa, il viaggio continua e da qualche parte si arriverà comunque.
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