LSD = Lisergico Spirituale Digitale di Guido Vitiello

 


Timothy Leary si fece guida chiassosa della stagione psichedelica californiana, e nei suoi libri affastellò esperienze religiose di ogni tempo e di ogni latitudine sotto il denominatore comune dell’espansione della coscienza. Si convertì poi alla via tecnologica al samadhi e persino all’immortalità, e riconobbe nella Realtà Virtuale un nuovo psichedelico. Gli ultimi anni di Leary furono tutti all’insegna delle meraviglie dell’elettronica, e nei suoi proclami, come sempre ilari e scanzonati, già lo affiancava la nuova generazione degli esploratori della coscienza, quella dei Douglas Rushkoff e dei Terence McKenna – quest’ultimo, autore di un libro dal wertmulleriano titolo The Archaic Revival. Speculations on Psychedelic Mushrooms, the Amazon, Virtual Reality, UFOs, Evolution, Shamanism, the Rebirth of the Goddess and the End of History, nel quale l’equivalenza tra mistica, droghe allucinogene e viaggi virtuali è posta senza tentennamenti.[9]

Questa vulgata californiana si diffuse poi nel Vecchio Mondo, e raggiunse l’orecchio di un erudito conoscitore dei mistici d’ogni tempo e luogo. Il grande e compianto Elémire Zolla si soffermò sulla Realtà Virtuale in due libri, Uscite dal mondo e Lo stupore infantile[10], ma affidò le formulazioni più audaci a un breve articolo d’occasione, che vale la pena di commentare[11]. Le ultime cautele che pure Huxley conservava sono qui dissolte senza lasciar traccia:

Le visioni dei mistici sono riproducibili, programmabili, le loro percezioni ricostruibili. Un programma di canti squisiti e di soffi incantevoli, di visioni travolgenti e di tumulti interiori che mettono sottosopra si può benissimo allestire.

Saranno programmabili tutte le esperienze dei mistici, di ogni sfumatura, di ogni qualità […]. Anche le esperienze angeliche dei mistici cristiani saranno programmate. Basta che se ne abbia una descrizione particolareggiata.

Anche Zolla, come e più di Huxley, ostenta il suo precisely and completely: tutte le esperienze dei mistici, “di ogni sfumatura, di ogni qualità” diverranno tecnicamente riproducibili. Ma a Zolla sarebbe bastato aprire la sua antologia dei Mistici dell’Occidente su una pagina qualunque delle mille e più che la compongono per rendersi conto che questo non è vero. Non solo le esperienze dei mistici non sono riproducibili, ma quel che ne è riproducibile sono elementi accessori. Si può certo inscenare la parodia di alcuni fra i siddhi, i poteri preternaturali yogici che – Eliade provvede a ricordarlo – per Patañjali erano persino un ostacolo sulla via che porta al fine supremo, il samadhi[12]: “Diventare leggero come una piuma e percorrere in un batter d’occhio distanze gigantesche, apparire ad altri a distanza, farsi piccolo come l’atomo o tanto grande da raggiungere il sole e la luna, far apparire e scomparire le cose e ricostituirle”[13]. Traducendo in termini di Realtà Virtuale: il senso di levità che si sperimenta in un ambiente elettronico e la telepresenza, accelerazioni e rallentamenti temporali, possibilità di plasmare il proprio doppio virtuale così come gli oggetti circostanti. Un ricercatore nell’ambito della Realtà Virtuale presso l’Università della North Carolina, Warren Robinett, si esprime come si esprimerebbe uno yogin apprendista: “Vedere l’invisibile, viaggiare alla velocità della luce, rimpicciolirsi per entrare in mondi microscopici, rivivere le esperienze – questi sono i poteri del casco virtuale”[14]. Senz’altro alcune “grazie visibili” del misticismo – i siddhi dell’occidente cristiano – si potranno riprodurre senza grande sforzo, superati gli attuali limiti della tecnologia. Non è inconcepibile che si arrivi a simulare una levitazione, come quelle che punteggiarono la vita mistica di Santa Teresa: ma bisognerà rendere giustizia alla Santa, e ricordare che ella non solo ingiunse, nel Castello interiore, di non confondere queste manifestazioni esteriori con il centro dell’esperienza mistica, ma arrivò persino, come riferisce nella Vita, a pregare perché tali fenomeni vistosi non le avessero più a toccare in sorte: “Supplicai immediatamente il Signore di non volermi più concedere grazie così visibili all’esterno”.

Lo stesso vale per la riproducibilità delle visioni, su cui Zolla insiste. Anch’esse sono un elemento affatto accessorio, dal quale i mistici di molte tradizioni ingiungono di guardarsi, tali e tanti sono gli inganni che vi si annidano. Ma è falso quel che ne scrive Zolla, e cioè che è sufficiente averne «una descrizione particolareggiata». Come accantonare, quasi non fosse mai sussistita, la questione del linguaggio figurato, velato dei mistici, su cui pure Zolla compose pagine memorabili? Il corpo a corpo che il mistico ingaggia con una lingua profana indocile e ottusa, che sembra negargli riottosamente i suoi favori, il suo torcere le parole come stracci sì da spremerne qualche stilla di verità comunicabile: tutto questo Zolla sembra averlo dimenticato. Eppure, almeno su questo i mistici sono unanimi, senza bisogno di arruolarli nei battaglioni di una filosofia perenne: l’esperienza che è loro concesso di riferire non è l’esperienza che hanno vissuto, ne è al più la copia sbiadita. Sentiamo la beata Angela da Foligno: “Sulle ineffabili operazioni divine, che avvengono nell’anima quando Dio si manifesta, non si può né dire né balbettare”; o Santa Teresa: “Sono grazie che non si sanno raccontare né scrivere”. E sono unanimi pure i loro interpreti, a partire da William James che non aveva dubbi su quale fosse il primo carattere del misticismo: Ineffability[15]. A sentir Zolla, invece, il mistico è uno sceneggiatore di mondi meravigliosi che un regista, purché abile, può allestire perché tutti li esplorino a piacimento. Sarà pur vero, come voleva il quietista Miguel de Molinos, che la scienza mistica no es de ingenio, sino de experiencia[16]; ma esperienze di questo tipo fanno pensare, piuttosto, a un theme park paradisiaco.

Nelle pagine di Zolla non è la Realtà Virtuale ad assurgere alla dignità dell’esperienza mistica: è piuttosto l’esperienza mistica che viene svilita e fraintesa fino a divenire poco più che un viaggio nella Realtà Virtuale. È il grande equivoco che, come abbiamo tentato di mostrare, ha origine in Huxley; ed è il compimento della traiettoria fatale che Richard C. Zaehner, studioso dello zoroastrismo e grande avversario dell’autore delle Porte della percezione, presagiva crucciato quarant’anni or sono: si comincia col riconoscere nei trip psichedelici un’esperienza mistica, e si finisce per vedere – con tipica fallacia retrospettiva – tutta la mistica come un trip psichedelico[17]. O come un viaggio in Realtà Virtuale.

 

 


[9] T. McKenna, The Archaic Revival, Harper Collins, 1991, p. 234.

[10] Pubblicati entrambi da Adelphi, rispettivamente nel 1992 e nel 1994.

[11] E. Zolla, Nei paradisi artificiali dei bit ritroviamo l'ebbrezza dell'estasi, su Telema, n°16.

[12] M. Eliade, Lo Yoga. Immortalità e libertà, Rizzoli, 1995, p. 95.

[13] J.-A. Cuttat, in Autori Vari, La mistica e le mistiche, San Paolo, 1996, p. 648.

[14] Cit. in D. Rushkoff, Cyberia, Apogeo, 1994, p. 43.

[15] W. James, The Varieties…, cit., p. 299.

[16] Cfr. L. López-Baralt e L. Piera (a cura di), El sol de medianoche. La experiencia mística: tradición y actualidad, Trotta, 1996, p. 91.

[17] R.C. Zaehner, Mysticism Sacred & Profane, Oxford University Press, 1961; Id., Drugs, Mysticism and Make-believe, Collins, 1972.

 

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