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Perché, intanto, da
quando sono nati i giovani come categoria sociale, la musica – dei giovani – è
stato il canale privilegiato dei loro linguaggi e dei loro bisogni.
Perché lo sviluppo
delle tecnologie della riproduzione del suono ha accompagnato e nutrito
sistematicamente questa predilezione – dalla radio, al mangiadischi, al mangianastri,
al walkman, all’I-Pod. Fino alla
possibilità di scaricare musica da Internet, abbattendo enormemente i costi del
consumo di musica, e quindi modificando in maniera radicale la gestione del
proprio, piccolo, reddito: metter da parte per comprare uno strumento, ad
esempio per poter suonare in proprio con
gli amici.
Perché – almeno dalla
nascita del mangianastri, ci si è industriati per far circolare pezzi di
musica, alla stregua di piccoli doni che non parlavano solo di sé, ma della
relazione di scambio simbolico e di
condivisione che implica l’ascoltare insieme, il proporre, il donare.
Perché la relazione con
la musica – la musica degli adulti – cambia: non più, necessariamente, veicolo
e simbolo della trasgressione e della ribellione al mondo adulto, ma tentativo
di fondare una nuova memoria collettiva,
sulla base di quelle sfere della cultura che sono più legate alla nostra storia affettiva e di formazione.
Mi occupo di linguaggi
audiovisivi e della loro didattica, sono un appassionato della narrativa di
massa, quindi potrei pensare anche a questi ambiti della produzione estetica. E
sicuramente cinema e generi letterari costituiscono un possibile terreno
comune, ma mi sembra che la musica riesca ad esserlo di più, probabilmente per
la sua stessa natura di linguaggio universale, e per un’altra circostanza molto
semplice: per goderne bastano le orecchie. E da quando esiste la radio, la
musica ha fornito – praticamente sempre – di una colonna sonora la nostra vita. Uno sfondo immaginativo e emotivo
onnipresente.[5]
Forse un nuovo terreno
per sperimentare l’avventura della propria formazione, visto che anche questa
dimensione, profondamente iscritta nella natura umana, e in larga parte
mediata, vissuta per sentito dire –
attraverso le avventure che vediamo nei film, o che leggiamo nei romanzi.
So bene di essermi
concentrato solo su una parte dei problemi – e dei cittadini – di cui dovevo
occuparmi. Rimane una domanda inevasa: In tempi in cui anche le nazioni in via
di sviluppo sembrano rifiutare maggiori conoscenze[6]
– maggiori connessione e accesso – che fine fanno gli esclusi in questo contesto?
Obiezione legittima. Ma
forse anche per loro valgono le stesse strade. E mi viene in mente una
proposta: C’è un mezzo di comunicazione che usano tutti: il telefonino. Forse è
questo il canale da usare per arrivare anche a loro.
Una boutade? Sicuramente. E allora faccio
una proposta seria. In realtà, noi, gli esclusi,
non li conosciamo. Ne abbiamo spesso un’immagine fantastica e approssimativa.
E allora dobbiamo
tornare al tradizionale e oscuro lavoro di ricerca. Sulla scorta di La memoria consumata, che ho citato, e
di ricerche come
[5] Cfr. ad es., F. Adinolfi, Mondo exotica, Einaudi, Torino, 2000; J. Lanza, Elevator Music, University of Michigan
Press, Ann Arbor, USA, 2004.
[6] Cfr. M. Panara, Chi prende parte all’economia della
conoscenza, “ [7] Su questa ricerca sarò lieto di fornire eventuali dettagli a chi ne farà richiesta.
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