Scritto ormai alcuni anni
fa, Lovecraft. Contro il mondo, contro la vita di Michel Houellebecq
mette in rilievo alcuni aspetti dell’universo del discusso scrittore francese
utili a completarne il profilo.
Intanto, come lo stesso
Houellebecq vuole precisare, egli ha individuato in Lovecraft "Un antidoto
sovrano ad ogni forma di realismo". Per l'autore, Lovecraft non è solo il più
grande scrittore di fantascienza, ma anche colui che offre la possibilità, pur
per un solo momento, di estraniarsi dalla realtà, visto che Lovecraft ha vissuto
un intera esistenza all'insegna della fuga dal quotidiano e dalla banalità del
vivere comune.
Houellebecq, che in altri
esempi della sua scrittura (cfr. ad esempio Le particelle elementari)
svela diverse affinità con un altro grande della narrativa di immaginazione, J.
G. Ballard (cfr. bibliografia), in questo libro è gelido, sconfinato e
nichilistico, in un furore artistico che tende a sovrapporre la sua visione del
mondo a quella di Lovecraft.
La realtà e l'unicità ai
tempi di Lovecraft – sostiene il francese – valevano ancora qualcosa, si viveva
in un mondo fatto di cose e persone, non in una caotica virtualità percepita
tramite infiniti messaggi inviati dai media, dove ogni cosa ed il suo contrario
hanno lo stesso diritto di cittadinanza, e dove alla fine ogni cosa è tutto ed
il contrario di tutto.
Il disinteresse del
“visionario di Providence” per l'umanità non deriva da una sorta di nichilismo
disperato, ma secondo Houellebecq da un distaccato razionalismo che ha una lunga
tradizione nello stoicismo, nel libertarismo erudito e nel materialismo
ottocentesco.
D'altronde Houellebecq ne
rimane affascinato perché vorrebbe raggiungere il suo stesso stadio di distacco.
Che non significa abbandonare l'umanità alla sua autodistruzione, ma significa
invece trovare proprie risposte a ciò che è ignoto e oscuro perché forse è
proprio lì che si nasconde la verità per quanto riguarda l'equilibrio e la vera
dignità umana.
La caratteristica visione
lovecraftiana di un cosmo e di una volontà sottomessi a forze cieche e
ingovernabili ha esercitato una notevole influenza su Houellebecq.
L’autore francese in
questa occasione abbandona la sua vena umoristica per addentrarsi e farsi
travolgere completamente dall'oscura visione di vita e di morte di Lovecraft, e
anziché rimanerne angosciato trova nuove risposte e comprende il desiderio dello
scrittore stesso, di rompere legami con il mondo perché è esso che nasconde le
paure maggiori che l'essere umano può ricevere.
Il terrore cosmico e il
terrore fisico non esistono, esistono solo le radici dell'angoscia esistenziale
umana. La scoperta di creature mostruose nella provincia americana più
tradizionale e sonnolenta, il riaffiorare di antiche maledizioni, il risveglio
di primordiali e crudeli divinità, la scoperta di resti antiche razze preumane
venute da altri pianeti ci dà la possibilità di sperare che dietro le nostre
paure nascoste nella nostra mente, ci sono luoghi e dimensioni dove un giorno
spereremo di recarci come viaggio alla scoperta della verità su noi stessi e
sull'intera esistenza, almeno come è concepibile in questo universo.
La figura e l’opera di
Lovecraft hanno alimentato furiose condanne e rifiuti – sul piano artistico ma
anche morale – che però non sono stati mai sufficienti a scalfire l’immagine
dell’aristocratico nichilista che, anzi, dall'attacco dei suoi detrattori esce
quasi rinforzato, come creatore di miti, diventato mito egli stesso.
Ancora oggi la letteratura
della fantasia e dell'immaginazione è considerata da molta accademia
appartenente a una sfera inferiore, quando è lampante che molti dei grandi
capolavori del passato hanno ispirato proprio le opere appartenenti in parte o
in toto a quest’area.
E in qualche modo
Lovecraft si avvicina ai grandi tessitori di mitologie, avendone creata una
propria. Chiaramente il giovane scrittore si è ispirato ai precursori del
terrore cosmico, dalle impressioni metafisiche ricavati dalla sua mente
solitaria e nevrotica. È pure fatto noto che da piccolo Lovecraft avesse letto
molti classici della tradizione ellenica (qualcuno insinua, apocrifamente, anche
della cultura mesopotamica, assegnando Chtulhu all’olimpo dei mostri evocati
dalla dea madre Tiamat), così come di quella egizia.
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